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San Marino, gli scalpellini venuti da lontano

da Redazione

In occasione della festa della Repubblica (3 settembre), la storia di San Marino e San Leo tradotta dal latino da Monsignor Luigi Donati e custodita all’interno della Biblioteca Nazionale di Torino.

 

Dobbiamo prendere la strada che porta sotto alla Mole Antonelliana e metterci in fila per accedere a un antico libro, conservato all’interno della Biblioteca Nazionale di Torino. Il manoscritto, firmato da Monsignor Luigi Donati, contiene una meravigliosa traduzione dal latino della leggenda dei Santi Marino e Leo. Il testo agiografico che vi proponiamo in occasione della Festa della Repubblica (3 settembre) e che fu scritto in origine in latino da un autore anonimo alcuni secoli dopo il periodo descritto (sembra nella prima metà del X secolo). L’opera narra le vicende di Marino, sbarcato a Rimini dalla Dalmazia, poi trasferitosi sul Monte Titano, per lavorare, divulgare la religione cristiana, e fondare la prima comunità da cui si sarebbe originata la Repubblica di San Marino.

Siamo nell’anno 257 d. C. il periodo del feroce Diocleziano, l’imperatore che “aveva prescritto che i libri divini fossero bruciati con rabbioso incendio”. Sempre nello stesso anno, scrive Donati, “fu emanato un editto per ogni provincia di Europa che dalle varie regioni tutti gli esperti nelle diverse Arti, architetti, vasai e scalpellini, universalmente obbedendo ai comandi imperiali, convenissero tutti ad edificare la Città di Rimini a onore del nome e a memoria dell’eccellenza dei principi trionfatori Diocleziano e Massimiano”.

Tra il gruppo di persone che “per divina provvidenza” furono “traghettati dai confini della Dalmazia attraverso il mare Illirico assieme agli altri al lido d’Italia” c’erano due persone: uno si chiamava Leone e l’altro Marino. Quest’ultimo, prosegue Donati, “era eminente e per il possesso e il modo di esercitare tutte le arti. Infatti come l’ape assai preveggente coglie da tutti i fiori il nettare e nella celletta distilla il fragrante miele, non altrimenti San Marino di memoranda virtù, deponeva la fragranza delle buone abitudini nel segreto del suo sacratissimo petto, con l’ispirazione della grazia dello Spirito Santo, con la brama di assecondare le divine promesse. V’era in lui tanta perizia del parlare che le sue parole quasi composte di fiori di eloquenza, si configgevano come chiodi nel cuore degli ascoltatori”.

Non molto tempo dopo, fu impartito un nuovo ordine: tutti gli esperti dello scalpello dovevano dirigersi verso le vette sassose dei monti per cavare anche di lì varie qualità di pietre. “Venivano perciò San Leo e il beatissimo Marino con molti scalpellini alle vette del tormentato monte chiamato volgarmente Titano. Il qual monte, come dicono gli abitanti, si stende dal settentrione all’occidente con vette aspre e scabre e rocce e rupi svettanti. Pervennero al luogo destinato e vi lavorarono per tre anni; trascorsi i quali, San Leo proseguì con pochi compagni verso il Monte Feliciano che volgarmente è detto Monte Feltro, ed ivi costruì una cella per sé e una Chiesa a Dio. Il Santo uomo di Dio Marino, di sempre cara memoria, pieno di grazia e di umiltà, vedendo l’afflizione dei suoi fratelli, non volle lasciarli. Si ricordò della parola del Signore che dice: Voglio misericordia e non sacrificio. Trascorso il triennio del duro lavoro di scalpellino, ritornò con loro in città ed ivi trattenuto dal fraterno amore, costruì un pozzo in due mesi e quindici giorni”.

Le ultime righe della traduzione firmata dal Monsignore sono cristalline: “Accolto dai cori degli angeli il 3 di settembre fu sepolto sul monte Titano nella Chiesa che egli aveva edificato. Regnando il Signore Nostro Gesù Cristo al quale è onore e gloria per tutti i secoli. Amen”.

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