Al via le trattative sul libero scambio commerciale tra Unione europea e USA. Le previsioni di crescita tra le due aree si attestano attorno ai 200 mld.
di Saverio Mercadante
La Francia era talmente imbufalita che ha subito minacciato di mandare all’aria l’inizio delle trattative di quello che il presidente Obama durante il G8 in Irlanda ha dichiarato essere “il più grande accordo bilaterale della storia”. Per poi fare marcia indietro subito dopo. I negoziati per l’accordo sul libero scambio commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti partiranno: troppo grande è la posta economica in gioco per farsi fermare dallo scandalo del “datagate”, provocato da Edward Snowden: ancora mentre scriviamo è fermo in un aeroporto di Mosca in attesa di qualche Paese che accetti la sua richiesta di asilo. Sembra che il Venezuela voglia accettare. Ma farlo arrivare a destinazione risulta molto pericoloso come testimonia l’odissea del presidente della Bolivia costretto ad atterrare con il suo aereo presidenziale proprio perché si pensava che l’uomo più ricercato al mondo fosse proprio in quell’aereo.
Il nome ufficiale del mega accordo è Transatlantic Trade and Investment Partnership. Coinvolgerà gli Stati Uniti e i 28 paesi membri dell’Ue. E nei giorni scorsi, fonti UE hanno precisato che il “datagate” non rientra nei negoziati. Sulla spinosissima questione indagherà un gruppo di lavoro guidato dalla commissaria UE, Viviane Reding. Le trattative per l’accordo commerciale, hanno fatto sapere da Bruxelles, “non sono il posto dove negoziare la protezione dei dati”, anche se la questione a livello commerciale avrebbe potuto rientrare nell’ambito del settore servizi: le trattative partiranno nel contesto delle legislazione UE esistente che non può essere cambiata o indebolita.
UE–USA, un terzo del commercio mondiale
L’obiettivo degli accordi è eliminare i circa sette miliardi e mezzo di euro di barriere tariffarie che esistono ancora tra le due aree. L’interscambio tra USA e UE è il primo al mondo per importanza coprendo circa il trenta per cento del commercio mondiale. Quattro milioni di posti di lavoro su entrambe le sponde dell’Atlantico, potrebbe essere il risultato dell’accordo commerciale tra Ue ed Usa, secondo le previsioni dello stesso Obama. I negoziati saranno volti ad eliminare gli ostacoli commerciali (tariffe, normative inutili, restrizioni agli investimenti, ecc.) in vari settori economici semplificando l’acquisto e la vendita di beni e servizi. Le parti contraenti puntano inoltre a facilitare gli investimenti delle proprie aziende in entrambe le economie.
Secondo Eurostat nei primi tre mesi dell’anno la Ue ha esportato verso gli USA merci per 70,3 miliardi di euro a fronte di un import per 48 miliardi di euro.
A tutt’oggi non esistono accordi commerciali specifici tra Stati Uniti e Unione Europea, i quali fanno parte della World Trade Organization (WTO). Nel passato questa organizzazione ha avuto una qualche influenza nel determinare una limitazione delle tariffe: accadde nel caso delle tariffe sulle importazioni dell’acciaio introdotte dagli Stati Uniti nel 2002 e rimosse l’anno successivo. I potenti del mondo sembrano aver capito la dura lezione della Grande Depressione del ’29. Scattarono come un sol uomo nei paesi devastati dalla crisi gli istinti bestiali del protezionismo.
Un’incistazione maligna nel corpo della recessione che provocarono un ulteriore crollo degli scambi commerciali nel mondo. La diffusione del libero scambio, in questo caso, avrebbe poi effetti politici oltre che economici di enorme importanza: cementa la partnership tra le due aree dell’occidente storicamente leader mondiali; riequilibra, almeno in parte, la crescente attenzione verso la Cina, e verso l’area asiatica nel suo complesso, da parte degli Stati Uniti, e nel contempo potrebbe frenare l’avanzamento commerciale della Cina. Secondo la Commissione Europea, il Transatlantic Trade and Investment Partnership potrebbe aumentare il PIL di mezzo punto percentuale sia per l’Unione Europea che per gli Stati Uniti. Secondo altre fonti, una riduzione dei dazi e un parziale smantellamento o armonizzazione della legislazione, potrebbe far crescere l’economia europea di un ammontare compreso tra lo 0,3% e l’1% del PIL l’anno. Il commercio tra le due aree potrebbe crescere di più di 200 miliardi di euro. Ad oggi, gli scambi bilaterali tra le due aree si attestano intorno ai 500 miliardi di euro (670 miliardi dollari). L’Ue ha commissionato uno studio indipendente al Centro di ricerca per la politica economica (Cepr) di Londra: indica che il beneficio per l’economia dell’Ue potrebbe ammontare a 119 miliardi di euro l’anno, equivalente a un importo supplementare pari a 545 euro per una famiglia media dell’Ue, mentre l’economia statunitense potrebbe ricavarne un utile supplementare di 95 miliardi di euro l’anno, pari a 655 euro per famiglia americana. L’altro vantaggio, come si accennava, sono i costi davvero esigui perché deriverebbero dall’eliminazione delle tariffe doganali e dalla soppressione delle norme inutili e delle lungaggini amministrative che rendono difficile acquistare e vendere oltreoceano.
I negoziati non avranno in ogni caso l’obiettivo di ridurre le garanzie per i cittadini/consumatori. Non è previsto nessun compromesso al ribasso in materia di sicurezza, tutela dei consumatori o ambiente.
Trattative complesse
Certamente le trattative saranno lunghe e complesse. Già le società private hanno fatto pervenire i loro desiderata ai governi e quello che non vogliono che ci sia negli accordi. Il primo turno delle trattative dovrebbe partire in questi giorni e l’obiettivo è quello di portare a casa nel 2014 la conclusione delle trattative. Ma per la maggior parte degli addetti ai lavori è una bella speranza e niente di più. Oltre a trovare accordi soddisfacenti per le parti su una enorme montagna di dettagli, una volta formalizzati, gli accordi andranno ratificati da tutti e 28 i paesi che aderiscono al trattato. Insomma, un anno e mezzo sembra veramente poco. Nel campo dei trasporti aerei e marittimi sono gli Stati Uniti ad avere le maggiori barriere. Ma, secondo alcune indiscrezioni, è possibile un progetto di liberalizzazione del comparto aereo. Nel campo della cultura e dell’industria cinematografica in particolare, la Francia è destinata, per le scelte protezionistiche che ha fatto in questi anni in difesa del cinema d’oltralpe, specialmente verso le grandi produzioni americane, a fare le barricate. Anche perché un accordo in questo campo avrebbe come conseguenze una limitazione o la scomparsa addirittura degli aiuti di stato veicolati per limitare la potenza di fuoco dell’industria cinematografica americana. Il settore audiovisivo, strenuamente difeso da Parigi, non sembra essere davvero sul tavolo.
I regolamenti più strutturati e barriere alle importazioni li ha invece l’Unione Europea nel campo delle materie prime agricole, grande terreno di scontro anche all’interno dell’Unione stessa. Il tema degli OGM sarà certamente un altro terreno di dura trattativa: le barriere europee su questo tipo di importazioni sono senza dubbio un ostacolo per le grandi aziende agricole americane. Anche le importazioni di carne saranno un’altra matassa difficile da dipanare che potrebbe risolversi all’interno della logica del “do ut des”: se venisse eliminato il divieto europeo di importare carne di bestiame americana a cui sono stati dati alcuni tipi farmaci – molto usati negli allevamenti a stelle e strisce – gli Stati Uniti potrebbero facilitare le importazioni di carne europea nel loro Paese, più o meno bloccate dai tempi del morbo della mucca pazza.
Per l’Italia il maggiore incremento
L’Europa ha tutto l’interesse a migliorare l’accesso dei propri prodotti alimentari di qualità sul mercato Usa. Al momento, alcuni prodotti alimentari europei, come le mele e vari formaggi, sono vietati sul mercato statunitense; altri sono penalizzati da elevati dazi applicati dagli Usa: carni 3%, bevande 22-23% e prodotti lattiero-caseari fino al 139%. L’eliminazione di questi e di altri ostacoli contribuirà a rafforzare le esportazioni Ue verso gli Stati Uniti. L’Italia, in particolare dovrebbe ricevere grossi vantaggi da un accordo di tale portata. Addirittura, secondo gli analisti dovrebbe essere la nazione che avrebbe il maggior incremento percentuale del proprio export verso gli USA.
I settori nei quali l’Italia è tradizionalmente specializzata, dalla moda alla meccanica, all’agroalimentare sono, infatti, quelli che soffrono un maggiore livello di protezione e quindi quelli che trarrebbero i maggiori vantaggi da provvedimenti di liberalizzazione.