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Ecco come cambierà l’Università del Titano

da Redazione

A fine anno prevista la riforma e il cambio della guardia ai vertici del Rettorato. Previsti nuova governance e l’accorpamento dei Dipartimenti (troppi).

 

di Loris Pironi

 

Entro fine anno l’Università di San Marino sarà sottoposta a diverse importanti novità. Il 31 dicembre infatti decadranno gli organi amministrativi e del Rettorato, con la nomina dei nuovi organi, ed è la data in cui l’esecutivo si è imposto di dar vita, con il passaggio in prima e in seconda lettura in Consiglio Grande e Generale della legge di riforma dell’ateneo sammarinese. Tra le novità, per chi è abituato a guardare il lato umano tanto quello normativo, spicca la conclusione del mandato del Rettore Giorgio Petroni. Che, stando a quanto anticipato a Fixing dal Segretario di Stato competente, Giuseppe Maria Morganti lascerà sicuramente l’incarico. Dalla relazione sulla spending review poi abbiamo potuto notare che tutto il settore dell’istruzione, ivi compresa quella universitaria, necessita di una razionalizzazione dei costi. Meglio ancora, nel caso specifico dell’Università, un rapporto più stretto tra costi e benefici delle singole attività, siano Master o Corsi di Laurea veri e propri. C’è poi un’altra priorità, che è quella di sviluppare un rapporto sempre più stretto tra l’Università e il mondo delle imprese. La riforma annunciata per l’anno in corso dovrà andare decisamente in questa direzione. San Marino Fixing oggi può anticipare quali sono le linee della riforma dell’Università.


La fotografia

 

Partiamo dalla fotografia. Sono circa 550 i ragazzi che seguono i tre corsi di laurea (design industriale, ingegneria gestionale e ingegneria civile). Nel complesso possiamo dire che la popolazione universitaria può arrivare, con le presenze occasionali dei Master, dei seminari e quant’altro a oltre 800 unità. Sei sono i Dipartimenti (Comunicazione; Formazione; Economia e Tecnologia; Studi biometrici; Studi giuridici; Studi storici), mentre i contratti – ovvero le collaborazioni pagate – sono circa 400. Possono sembrare tanti (e in effetti non sono certo pochi) ma questa categoria comprende un mondo molto variegato, dai professori di ruolo (meno di una quindicina) agli assistenti a chi svolge collaborazioni una tantum. Sempre in questo ambito non possiamo non ricordare che il 20% dei contratti ritorna indietro sotto forma di tasse e che questo ha scatenato la polemica dei ricercatori (italiani) se la cifra stabilita con l’Università dovesse essere lorda o netta… Per quanto riguarda i contratti, tolti gli amministrativi, una quarantina, assunti a tempo indeterminato, la scelta “all’americana” di gestire i rapporti dei docenti con questo tipo di contrattualizzazione permette di poter andare a caccia degli insegnanti più indicati per le specifiche esigenze, di spendere meno (un terzo rispetto all’Italia, assicurano dalla Segreteria di Stato) e di non essere sottoposti a legami inscindibili, quelli che altrove hanno creato uno dei principali problemi dell’istruzione universitaria italiana, ovvero la baronia. E ora continuiamo a parlare di vil denaro, perché l’Università per il 2013 aveva presentato un budget da 4 milioni di euro che è stato limato a 3,6 milioni. Un’oculata gestione per il 2012 aveva comunque già permesso un risparmio di oltre 100 mila euro sul consolidato. Le entrate dell’Università poi non sono solo trasferimenti pubblici: c’è un budget annuo di circa 2,5 milioni l’anno, che peraltro nelle intenzioni andrà decisamente implementato.

 

Tre direttrici


Ci sono tre direttrici che dovranno essere seguite dalla riforma: internazionalizzazione, comunicazione e orientamento. L’internazionalizzazione significa curare e sviluppare i rapporti con altri atenei, non solo italiani naturalmente, mettendo in campo specifici progetti e programmi a livello bilaterale e multilaterale. Il discorso della comunicazione significa potenziare il rapporto con la cosiddetta società civile, affinché l’Università non sia un corpus isolato dal resto del Paese. Se l’orientamento in entrata – ovvero l’indirizzamento dei potenziali studenti verso un corso di studio o l’altro – è pratica comune a qualsiasi ateneo, l’orientamento in uscita è l’eccezione alla regola, soprattutto per quanto riguarda la penisola. Esclusi un paio di casi infatti quello che manca (e di cui si sente la mancanza) è uno sforzo a fornire agli studenti che svolgono i loro studi a orientarli là dove c’è effettiva esigenza occupazionale da parte del territorio di riferimento. L’Università di San Marino nelle intenzioni dovrebbe potenzialmente poter fungere quasi da “ufficio di collocamento” per i propri studenti. Anche in questo caso si va nella direzione di rafforzare il rapporto tra l’Università e il tessuto imprenditoriale.

 

Nuova governance


Qui si entra nel tecnico, ma è importante. La riforma prevede una modifica della governance che preveda la separazione delle funzioni amministrative da quelle didattiche e scientifiche. È anche una questione di controbilanciamento di poteri quella che porterà all’istituzione di un Direttore Amministrativo, un manager che dovrà gestire un Consiglio dell’Università e rendere conto direttamente al CdA. Le scelte didattiche e scientifiche dovranno invece ricadere nell’orbita del Senato Accademico, che sarà chiaramente presieduto dal Rettore.

 

Altre novità


Sicuramente sarà messa in campo una razionalizzazione dei Dipartimenti. Sei sono oggettivamente troppi per una realtà così piccola (Venezia ne ha sette, per offrire un riferimento che ha una qualche attinenza con l’ateneo del Titano), si va ipotizzando un accorpamento per arrivare a quota quattro. Si dovrà ampliare inoltre l’offerta formativa monitorando attentamente la sostenibilità economica dei Master e dei Corsi di laurea, anche istituendo il numero chiuso. E poi c’è l’impegno a lavorare costantemente sul fronte del riconoscimento dei titoli e delle docenze, con l’Italia in primis ma anche col resto d’Europa.

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