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Mid-term, l’Obameconomics esce con le ossa rotte

da Redazione

PRIMA NOTA / Le ultime elezioni hanno tirato giù dal piedistallo il Presidente della Provvidenza. Dovrà venire a patti con l’opposizione repubblicana. Gli Stati Uniti d’America ora dovranno iniziare a tirare la cinghia.

di Paolo Brera

 

Come esce l’economia americana dall’ultimo mese, caratterizzato dalla vittoria repubblicana nelle elezioni di mid-term e dal volo dell’elicottero di Ben Bernanke, quello che fa piovere dollari su tutti? Ne esce male, molto male. Il presidente Barack Obama è stato azzoppato dalle elezioni. Due anni fa Obama era apparso un uomo energico e volitivo. Ma c’era ben poca polpa al di sotto di questa “arcivernice”. Poco il presidente ha mosso nell’economia e nella società e quel poco non è piaciuto gran che agli americani. Ora dovrà venire a patti con l’opposizione repubblicana. Con la quale peraltro ha in comune un tratto molto pericoloso: il rifiuto dell’austerità. In Europa stiamo tirando la cinghia perché sappiamo di non poterci permettere di accrescere i nostri debiti. Negli Stati Uniti la leadership politica sembra invece convinta di poter attingere all’infinito alle risorse del resto del mondo. “Nei fatti gli Usa stanno combattendo il debito facendo altri debiti”: così ha detto Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo, nel suo intervento all’Europarlamento. Ciò rispecchia l’aspirazione irragionevole della gente, che non vorrebbe rinunciare neppure a un centesimo del proprio tenore di vita – e ne rispecchia anche la rabbia, perché nonostante gli interventi di politica economica degli ultimi anni la sua situazione è in effetti peggiorata. Nel terzo trimestre del 2010 il pil americano è aumentato dello 0,5% rispetto al secondo trimestre (il che vuol dire a un tasso annuo del 2%). Non è certamente la gloria. Quelli che sono stati i motori della crescita nei trimestri precedenti, gli investimenti e le esportazioni, ricominciano a indebolirsi. Con 14,8 milioni di disoccupati, il tasso di disoccupazione è arrivato al 9,6%. Malgrado i tassi d’interesse molto bassi (quello di riferimento è al di sotto dell’inflazione), il credito non affluisce alle attività produttive ma prende la via dei mercati finanziari. La decisione di Ben Bernanke di attivare una seconda fase di Quantitative Easing (QE2), cioè di acquisti di titoli di Stato da parte della Fed in cambio di dollarucci immediatamente spendibili, è una decisione presa in sprezzante solitudine e si basa su un equivoco ferale: se nell’economia vi sono risorse inutilizzate da mettere a frutto, allora il denaro facile aiuta a farlo, perché accresce la domanda effettiva; ma se la domanda addizionale viene invece soddisfatta da produttori esteri, al prezzo di un deficit nella bilancia dei pagamenti, non ne risulta alcuno stimolo per l’economia. Ed è quello che è successo. La speranza della Casa Bianca e di Bernanke è che la svalutazione del dollaro insuffli un po’ di competitività nei produttori statunitensi, consentendo loro di esportare e ciò facendo di rilanciare l’economia. Ma è un gioco pericoloso, perché i Paesi che detengono vasti averi in dollari non apprezzano certo che il loro valore sia falcidiato dalla svalutazione, e la loro conseguente disaffezione nei confronti della valuta americana farebbe salire i tassi d’interesse. Oltre alle conseguenze interne della politica americana, ci sono quelle internazionali, non meno minacciose. Con la politica della Fed, gli Stati Uniti una volta di più si isolano dal resto del mondo e lo antagonizzano. Se il ministro tedesco dell’Economia Wolfgang Schäuble ha detto che Washington “non ha nessuna linea” in politica economica, il presidente della Zhōngguó Rénmín Yínháng – la Banca centrale cinese – Zhou Xiaochuan, ha attaccato a fondo: “Se la politica interna è quella ottimale per gli Stati Uniti presi da soli, ma non è una politica ottimale per il mondo, può avere un impatto molto negativo”, ha detto. L’agenzia Xinhua ha poi riportato le parole del vice ministro degli Esteri Cui Tiankai: “La comunità internazionale ha tutti i motivi di sentirsi inquieta, e gli Stati Uniti le debbono una spiegazione convincente della loro mossa”. Non è finita. Guido Mantega, ministro delle finanze del Brasile (la cui economia ha recentemente superato per dimensioni quella italiana), ha dichiarato: “Il recupero dell’economia Usa è auspicabile, ma non produce affatto effetti positivi lanciare dollari da un elicottero”. La Russia, infine, ha dichiarato lo scorso lunedì che la Fed avrebbe dovuto consultare i membri del G20 prima di prendere la sua decisione. “Il presidente russo insisterà che decisioni simili devono essere sottoposte a una consultazione preliminare con gli altri membri dell’economia mondiale”, ha detto Arkadij Dvorkovič, uno degli “sherpa” russi del vertice del G20. Non c’è via d’uscita per l’economi americana se non viene accettata l’idea che vi debba essere un notevole arretramento del tenore di vita, né viene adottata qualche misura perché il peso della crisi sia ripartito in modo più equo fra i diversi gruppi sociali. Obama è seriamente indebolito dalle elezioni e non è affatto detto che sia in grado di agire con il vigore richiesto. Si può facilmente prevedere un ulteriore tuffo degli Stati Uniti nella recessione, seguito da un periodo di scontento sociale.

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