In ambito lavorativo si intende “l’esito patologico di una condizione di stress lavorativo prolungato, provocata da intense relazioni interpersonali”.
di Roberto Parma
Chissà quante volte vi sarà capitato di vedere Valentino Rossi al termine di un gran premio in sella alla propria moto disegnare, come con un compasso, un cerchio perfetto sull’asfalto sgommando in derapata con la ruota posteriore. Questa manovra denominata “burnout”, tanto spettacolare quanto innocua, di fatto brucia il battistrada rimasto nello pneumatico dopo la gara.
Ho letto da qualche parte però che il “burnout” è vietato dal codice della strada. Io non so bene perché sia stato deciso così, ma comunque ritengo sempre giusto limitare qualsiasi condotta che metta a rischio l’incolumità di una persona.
In ambito lavorativo con lo stesso termine invece si intende “l’esito patologico di una condizione di stress lavorativo prolungato, provocata da intense relazioni interpersonali”. Non mi permetto di andare oltre questa citazione, innanzitutto perché non posso di certo avventurarmi in un campo dove non ho alcuna competenza; mi permetto però di dire che se non vogliamo esaurirci, bruciarci appunto come uno pneumatico, dobbiamo stare attenti a quanto di personale, di intimo e di emotivo “investiamo” sul luogo di lavoro. E ciò non vuole significare né disimpegno né distacco ma semplicemente più equilibrio e qualità di relazioni: come se dovessimo correre tanti gran premi con le stesse gomme.
