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Intrallazzi politici e amori, ieri come oggi

da Redazione

Decimo anno della rassegna “Mese Dantesco” organizzata dall’ASDA. La grande attualità del pensiero del Poeta Fiorentino anche a San Marino.

 

E’, per dirla alla maniera del poeta sammarinese Checco Guidi, “Un granel ad sabia”. Dieci anni (quelli della rassegna “Mese Dantesco”, il ciclo di conferenze dell’Associazione Sammarinese Dante Alighieri) contro i secoli che ci separano dalla scrittura dell’opera (composta, secondo i critici, tra il 1304 e il 1321) sembrano un’infinità. Eppure è anche grazie al lavoro dell’Associazione che i nostri cittadini hanno la possibilità di riscoprire la grande modernità di pensiero del Divin Poeta.

In attesa dell’ultimo incontro del cartellone di quest’anno, il 10 maggio al Cinema Concordia con Luca Pasquale che esplorerà “L’opera di Dante nel Cinema Italiano”, ripercorriamo due appuntamenti che fanno ben capire la raffinatezza di pensiero dell’Alighieri.

Il primo appuntamento della rassegna ha visto il professor Maurizio Gobbi – che, come non ha mancato di sottolineare il Presidente della Dante Franco Capicchioni, è una “vera e propria colonna”– tenere un’interessante conferenza su un canto, poco noto ma estremamente significativo per i rapporti tra la poesia dantesca e la storia locale romagnola: Purgatorio XIV.

Protagonisti di quello che – insieme ai celeberrimi Inf., Purg. e Par. VI – è uno dei canti politici per eccellenzadell’opus magnum dell’Alighieri, sono due nobili romagnoli: Guido del Duca, giudice ravennate, e Rinieri da Calboli, podestà di varie città della penisola, puniti nella seconda cornice del Purgatorio, dove espiano il loro peccato gli invidiosi, che, se in vita scrutarono astiosamente il prossimo, ora si aggirano ciechi, con le palpebre cucite. Se nella prima parte del canto Dante rimprovera aspramente il malcostume della valle dell’Arno – i cui abitanti sono stati tramutati in belve dalla forza abbruttente del peccato –, nella seconda si scaglia contro la Romagna del suo tempo e contro i suoi abitanti, che – imbastarditi dalle tre grandi colpe che, per dirla con Ciacco (Inf. X) hanno acceso i cuori dei cives (superbia, invidia e cupidigia) e corrotti dai “subiti guadagni” della mercatura – hanno dimenticato il loro glorioso passato di nobiltà e cortesia.

Dante, agguerrito laudator temporis acti al tramonto del Medioevo ma anche ispirato profeta civile, inveisce con toni di fuoco contro la distruttiva invidia e l’ingegnosa fraudolenza della borghesia mercantile (che, egoista e litigiosa, lotta senza esclusione di colpi per la supremazia economica e politica) nonché contro l’insaziabile sete di potere e la crudele avidità della classe dirigente toscana e romagnola, inestirpabili disvalori, questi, incarnati dal nipote degenere di Rinieri, Fulcieri da Calboli.

Rimpiange, invece, l’antica rettitudine delle famiglie gentilizie e, soprattutto, in un afflato di elegiaca nostalgia, gli splendori morali ed estetici – compresi gli onorevoli divertimenti dei tornei e delle liete brigate – di quell’universo cavalleresco ormai scomparso.

Un’analisi, quella del professor Maurizio Gobbi, che ha non ha mancato di mettere in luce l’immensa attualità della galvanizzate tensione politico-morale di Dante Alighieri, che, con toni così ispirati e violenti da sconfinare nella profezia, rinnova nel lettore di ogni tempo la sete di giustizia, l’indignazione per la corruzione della mala politica, l’aspirazione all’armonia civile e l’amore – giustamente critico e passionale – per la cosa pubblica.

Non poteva poi mancare l’amore, quello più celebre: in occasione del terzo appuntamento difatti il professor Ferruccio Farina ha trattato l’amore, entrando in “Francesca da Rimini, un mito senza confini: oltre Dante, oltre la Commedia”.

Uno dei personaggi più amati, affascinanti e celebri di tutta l’opera dantesca: la figlia di Guido da Polenta, sposa di Gianciotto Malatesta e amante del fratello di lui, il cui tragico e fatale amore il Sommo Poeta immortalò nel quinto canto dell’Inferno.

“Francesca da Rimini – ha spiegato Ferruccio Farina – è tra i miti più diffusi, popolari, radicati e longevi della cultura occidentale. A lei, a partire dalla fine del Settecento, una schiera di oltre mille artisti, tra i quali basti ricordare Byron, Pellico, Boker, D’Annunzio, Ingres, Scheffer, Rodin e Tchaikovsky, ha dedicato opere in ogni forma d’espressione e in ogni lingua: poesie, commedie, tragedie, melodrammi, film, musiche, dipinti, sculture e incisioni. Opere, spesso, di grande valore e di grande successo che, in due secoli, l’hanno trasformata nell’immaginario collettivo da peccatrice in eroina, da adultera in vittima di un inganno nuziale e di intrighi di potere, fino a farne il simbolo della fedeltà eterna al primo amore e della passione che tutto vince. Un’eroina, un personaggio letterario che, dalla prima opera a lei dedicata da un giacobino errante, vive di vita propria fuori dalla Commedia attraversando con fascino costante le mode e le sensibilità che mutano. Indiscussa icona dell’amore e del bacio, ha commosso i romantici d’ogni paese, ha infiammato i patrioti e i libertari di ogni continente, ha accompagnato e ancora accompagna le pulsioni degli innamorati d’ogni età. Un mito – ha concluso il professor Farina – che sa affermare ancor oggi valori positivi: la bellezza, l’amore eterno, la fedeltà, la libertà e il rispetto della vita, della persona e dei sentimenti”.

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