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San Marino, dagli ammortizzatori sociali all’introduzione dell’ISE

da Redazione

Dall’analisi dell’utilizzo di questi strumenti (CIG, ma non solo) si evidenzieranno sprechi, duplicazioni o carenze. Poi si dovrà limitare l’intervento dello Stato, migliorare tutti i controlli, ma anche rinegoziare l’accordo con l’Italia.

 

di Daniele Bartolucci

 

Il welfare della Repubblica di San Marino si conferma tra i più evoluti al mondo, capace di compensare se non mantenere costante, il livello di benessere dei sammarinesi. Questo non significa, però, che l’insieme degli strumenti messi in campo negli anni sia immodificabile e migliorabile. Anzi, la sfida a cui l’antica Repubblica si sta approcciando, fatta di riforme con evidente rilevanza sociale ed economica, parte da questo presupposto: l’attuale livello di welfare, invidiato da buona parte degli altri Paesi, anche di quelli più grandi e industrializzati, è una conquista e per tale motivo va difesa e resa sostenibile. Ma in maniera più equa. Per questo ogni ragionamento in tema di welfare, previdenza, assistenza o ammortizzatori sociali – oggetto dell’attuale indagine, frutto dell’elaborazione dei dati da parte del Gruppo Tecnico di lavoro sulla riforma degli stessi – ha come obiettivo strumentale l’introduzione dell’ISE. L’Indicatore dello Stato Economico, ipotizzato fin dal 2012 e oggi oggetto di lavoro di un Gruppo Tecnico incaricato ad hoc, emerge infatti tra gli step fondamentali di tutte le riforme annunciate o già in corso d’opera in questi giorni. Il concetto di equità, infatti, non può svilupparsi a San Marino senza una chiara e trasparente distinzione tra chi ha effettivamente necessità di un aiuto (economico e non solo) e chi invece non ne ha. La discriminante, ovviamente, non può essere solo il reddito familiare (si pensi ad altri fattori, come l’anzianità o la disabilità), ma l’utilizzo delle risorse senza questa distinzione basilare rischia di darne anche a chi, oggettivamente, non ne avrebbe bisogno, con la conseguenza di darne sempre meno a chi invece non può farne a meno. Proprio per questo il Governo ha deliberato a fine febbraio che i due Gruppi Tecnici, quello per la riforma degli ammortizzatori sociali e quello per l’istituzione dell’ISE, lavorino ora assieme, per arrivare ad un progetto organico e condiviso. E lo stesso dicasi per l’annunciata riforma delle pensioni, dove l’ISE potrebbe rivelarsi altrettanto utile per rimodulare (come vorrebbe fare l’Italia per le pensioni di reversibilità) le prestazioni previdenziali.

 

IL WELFARE “PESA” TANTO NELLA SPESA PUBBLICA

La relazione del Gruppo Tecnico, come ha spiegato il Segretario al Lavoro Iro Belluzzi, è partita dalla situazione attuale, mettendo assieme tutti gli ammortizzatori sociali e le prestazioni che lo Stato eroga a favore dei cittadini nell’ambito dell’assistenza e del welfare in generale (dalla sanità alla previdenza, due delle voci più consistenti in assoluto), comprese le cosiddette provvidenze, che comprendono il diritto allo studio, ad esempio, ma anche gli sgravi per le badanti, fino all’edilizia sovvenzionata, che non a caso è già stata oggetto di una piccola riforma e conseguente rimodulazione dei requisiti degli aventi diritto e dei costi che dovrà sostenere lo Stato. Tutto questo viene sintetizzato in un dato, secondo il Gruppo Tecnico, ovvero che il costo del welfare state è in linea con l’Italia, ovvero che è pari a circa il 50% dei costi complessivi dello Stato. Più precisamente il 51% nel 2013, salito però al 62,5% nel 2014, pur rimanendo la cifra totale più o meno stabile, tra i 313 e i 314 milioni di euro. Come noto, è in questi anni che la spesa pubblica complessiva si è ridotta notevolmente, passando da 613 milioni a 502 milioni negli anni citati, tornando a crescere nel 2015 (anno per il quale ancora non si può avere una stima precisa del costo del welfare state).

 

FONDO AMMORTIZZATORI IN SOFFERENZA DA SEMPRE

La crisi economica e le difficoltà di molte imprese a reggerne l’urto, unita ad una storica “dipendenza” dall’Italia come unico o comunque predominante sbocco commerciale, hanno costretto moltissime aziende a ricorrere agli strumenti previsti dal legislatore per evitare di chiudere l’attività e al tempo stesso per mantenere per quanto possibile la maggior parte dei posti di lavoro. Questo si vede nei bilanci del Fondo Ammortizzatori Sociali, che da un disavanzo di 1,3 milioni di euro nel 2008 è passato a prima a 9 milioni, poi a 5, 6 tra il 209 e il 2011, per attestarsi sui 10 milioni nel 2012 e 2013, scendendo a quasi 8 e mezzo nel 2014. Una cifra comunque imponente, se si considera che il disavanzo tra quanto versato annualmente dalle aziende (di media circa 12 milioni di euro) e quanto viene erogato in ammortizzatori (soprattutto CIG), viene poi coperto dall’intervento dello Stato (circa 1 milione di media di contributo) e la Cassa Compensazione (dal 2009 al 2014 per un totale di quasi 40 milioni di euro). Anche per questo l’obiettivo dichiarato della riforma degli ammortizzatori è quello di rendere più sostenibile tale bilancio, senza, se possibile, ricorrere all’intervento sistematico dello Stato.

 

PIÙ COORDINAMENTO E ANCHE PIÙ CONTROLLI

Se la “linea guida” per la riforma è “l’utilizzo maggiormente proficuo delle risorse esistenti, evitando duplicazioni o sovrapposizioni tra diverse misure di assistenza”, va rilevato – e la relazione lo conferma – che l’utilizzo degli ammortizzatori sociali, in particolar modo della CIG, ha comunque avuto l’effetto positivo di contrastare la caduta del PIL riducendo l’impatto che questo ha avuto sull’economia in generale, evitando una proporzionale perdita di posti di lavoro. Cosa che in parte è avvenuta, ma non così come ci si sarebbe potuti aspettare. Insomma, il sistema ha funzionato, ma nei numeri e nei dati si possono comunque rilevare alcune zone di intervento, che spingono il gruppo tecnico a ipotizzare sia una riorganizzazione degli strumenti, per renderli più efficaci e mirati, sia dei controlli. Per questo motivo il tavolo di lavoro è stato allargato anche alle altre Segreterie, in particolare quella alla Sanità (ISS e pensioni) e Finanze. A proposito di controlli, va rilevato anche il peso dei frontalieri dismessi ricade indirettamente sul sistema sammarinese, in base all’accordo con l’Italia, per cui quest’ultima riconosce ai suoi cittadini misure di ammortizzazione sociale, ma è anche vero che ne recupera integralmente l’importo chiedendolo a San Marino. Il problema è però l’impossibilità dei controlli, da parte sammarinese, sugli ex frontalieri, che lascia spazio a probabili sprechi ma anche a fenomeni fraudolenti. Una collaborazione bilaterale tra i servizi ispettivi dei due Paesi (in particolare quello sammarinese che sarà oggetto di implementazione a breve), diventa ora fondamentale.

 

IRO BELLUZZI: “IL CANTIERE ORA È AVVIATO”

La riforma delle norme in materia di ammortizzatori sociali è uno degli obiettivi di questo Governo, un lavoro avviato un anno fa con l’istituzione di un Gruppo Tecnico di Lavoro a fine maggio 2015. Un gruppo trasversale coordinato da Sabrina Fantini (Segreteria Lavoro) e a cui hanno partecipato Lidia Bacciocchi (Finanze), Marco Burgagni (Sanità), Filippo Francini (ISS) e l’avvocato Alessandro Bugli in qualità di consulente della Segreteria al Lavoro. Dopo mesi di incontri, analisi e, come si vedrà, raccolta dati, il Gruppo ha presentato una prima relazione tecnica al Governo e nei giorni scorsi anche alle parti sociali, per condividerne i contenuti. “E’ stato un lavoro impegnativo”, commenta il Segretario al Lavoro, Iro Belluzzi, “soprattutto per quanto riguarda la raccolta dei dati che, obiettivamente, ha sempre comportato delle difficoltà a San Marino. Ora il quadro della situazione è completo e possiamo avviare i cantieri di lavoro e mettere mano alla riforma vera e propria”. “Siamo partiti dai dati per un motivo molto semplice ma non per questo banale”, spiega Bugli: “Ogni decisione che la politica dovrà prendere deve basarsi sulla situazione oggettiva, per cui la relazione che abbiamo presentato mette tutti i soggetti partecipanti alla fase decisionale nelle condizioni di ragionare sui dati reali”. I quali come si evince dalle conclusioni del gruppo tecnico, a volte non coincidono con l’idea che si potrebbe avere in merito a tante situazioni. Una su tutte il rapporto tra PIL e disoccupazione: a fronte di un calo drastico del primo, infatti, l’economia sammarinese e, in particolare l’occupazione, non ha avuto una caduta paragonabile. La riduzione dei dipendenti, dal 2008 al 2015 è infatti stata pari a 1.763 unità, ma è anche vero che il 75,4% di questi erano lavoratori frontalieri, che hanno “pagato” per primi e probabilmente più marcatamente, la crisi economica che ha investito la Repubblica di San Marino. Al di là dei numeri, però, perché questa riforma? Da una parte “c’è la necessità di analizzare ciò che è accaduto fino ad oggi”, spiega il Segretario Belluzzi, “evidenziando carenze se ci sono, ma soprattutto come e dove sono state utilizzate le risorse a disposizione, per evitare che siano state usate male o che ci siano sovrapposizioni o duplicazioni”. Dall’altra parte “c’è l’esigenza di rendere sostenibile l’intero sistema degli ammortizzatori sociali e dell’assistenza e del welfare in generale, di ottimizzare quindi le risorse previste dalla Legge 71 del 2014”, spiega sempre Belluzzi, “soprattutto nei confronti delle future generazioni, grantendo loro le necessarie tutele se dovessero averne bisogno”.

E’ questo infatti uno degli obiettivi principali dell’azione intrapresa sul tema degli ammortizzatori sociali, ben specificata anche nella relazione appena presentata: “Si rende necessario un ripensamento del sistema di ammortizzatori sociali (propri ed impropri) così come congeniato pre e durante la crisi per affrontare i tempi a venire, garantendo una sostenibilità (quanto più possibile) piena del sistema, proprio nell’interesse delle giovani generazioni che domani potrebbero avere necessità di fruire di tali strumenti, senza che la progressiva erosione e dissesto del fondo ammortizzatori porti a interventi estremi quando la situazione complessiva dovesse tornare ad acuirsi”. Il rischio, senza un intervento rapido e senza l’introduzione dell’ISE rischia, di contro, di portare ad un esborso più massiccio dello Stato, ma anche di “insoddisfazione dei beneficiari”.

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