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Niccolò Tommaseo, “cittadino onorevole” del Titano

da Redazione

La Repubblica gli concesse l’onorificenza nel 1859 e lui ricambiò componendo l’inno “A Marino dalmata”. I versi, stampati nel 1861, furono poi rivisti dalla Chiesa nel 1867, musicati a cantati a teatro. E nel 1872 compose cinque distici, in latino, dedicati all’antica terra della Libertà.

 

di Alessandro Carli

 

Facciamo un salto nel tempo, più o meno 150 anni fa: esattament al 29 agosto 1859. Leggiamo con grande attenzione: “La Reggenza propone la cittadinanza onorevole” per il Chiarissimo “Nicolò Tommaseo” che mostrò “molto interesse per la Repubblica”. Già, ma come si concretizzò successivamente questa forma di “affetto e dialogo” tra il Titano e l’intellettuale? Ancora una volta ci sono d’aiuto le testimonianze raccolte nei libri e nei volumi della Biblioteca di Stato. Tommaseo (1802-1874) proprio nel 1859 compose l’inno “A Marino dalmata”. I versi, stampati nel 1861, furono poi rivisti dalla Chiesa nel 1867, musicati e cantati in teatro. Quando in seguito i sammarinesi gli fecero omaggio di una medaglia al merito, lo scrittore “fiorentino” ringraziò inviando cinque distici latini. Il Tommaseo, uno degli scontenti del Risorgimento, aveva già parlato in precedenza della Repubblica, ma è nei versi dell’Inno, latini come era la lingua del tagliapietre, che il poeta infonde tutta la sensibilità di romantico e l’affetto per questa terra di cui esalta le origini cristiane, la libertà e la povertà. Questi due ultimi concetti poi tornano nei distici come fattori indispensabili alla convivenza civile.

A questo punto serve fare due passi indietro, e tornare al 1859. Per facilità, proporremo la traduzione (di G. Mazzoni) in italiano dell’Inno: “Te padre acclama l’Itala / Terra, o Marino dalmata! / Il nome di Lui povero /spargon per gli astri gli Angeli. / Sì forte i colpi ferrei / della sua mano diedero / nel sasso, che i tre vertici / ancora di Lui si vantano! / Poveri sì, ma liberi, / col nome tuo, ne’ secoli / sempre entro il cuore fervido / viva la pia Repubblica! Ricchi non più che d’opere / la libertà nei posteri / trasmetteremo, amandoci, l’un l’altro, senza vincoli. / Gloria a Dio Padre, Gloria al Figlio e al Santo Spirito! / E tu Marino, serbaci / poveri sempre e liberi!”.

Quando ricevette la cittadinanza sammarinese, avvenuta con decreto consiliare nell’agosto del 1859, Tommaseo rispose con una lettera da Torino: “Mi tengo onorato del titolo di Vostro Concittadino più di qualsiasi ordine cavalleresco o carica cortigiana”.

E quando il Titano volle gratificarlo della medaglia al merito di I classe, il 31 gennaio del 1872 da Firenze inviò cinque distici, anche questi in latino, e anche questi tradotti dal Mazzoni: “Gli imperi e le genti macchiate di criminoso sangue / vanno in rovina te fiorente sull’incontaminata altura, / o libertà, conserva l’altare dell’umile Marino, / e non qual frutto d’imprevidente semplicità. / E così il monte sereno mira dalla rocca che splende / l’aere sbigottito per fulminee nubi. / Con a sacra povertà la libera virtù prende vigore / la libertà con la mite fede verso gli astri voli. / Che là dove da un divino legame son congiunti gli animi / anche nel patto umano più sicura è la fede”.

I distici, pubblicati a Rimini dal tipografo Albertini lo stesso anno, furono preceduti da una nota: “Alla Repubblica di San Marino. A ciascuno de’ sei versi latini, che scrisse in onore di Venezia Iacopo Sannazaro, la Repubblica diede mille ducati: i dieci (versi, ndr) miei sono anticipatamente pagati assai meglio dalla Memoria che mi mandava spontanea la Repubblica di San Marino. Latini anco i miei, perché nella lingua parlata dal Santo, la qual congiungeva il Titano ai Monti Dalmatici, e tutti i popoli civili congiunge, e potrebbe congiungere ancor più. Giungerà, spero, gradita l’umile offerta alla Repubblica, che tutte religiosamente conserva e provvidamente le antiche tradizioni”.

In “Museum” (gennaio-febbraio-marzo 1928) Onofrio Fattori poi pubblicò “Lettere e versi di Niccolò Tommaseo”.

Anche qui l’autore tratta il Santo: “Marino, povero taglia-pietre dalla nativa Dalmazia ascende al Titano; e la pietà dei fedeli venera il nudo sasso ove narrasi ch’egli giacesse, e sorgon templi in Italia sacri al nome di lui, che gli edifica non col ferro ma coll’umile spirito: e nel suo nome sono battezzati gentiluomini di quel che fu detto, come il romano, Senato di principi (…). E il nome di lui custodisce una Repubblica che in Italia rimane unica, e che per tanti secoli visse la più pura tra tutte le repubbliche della terra”.

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