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Un sammarinese alla Grande Guerra

da Redazione

L’autobiografia di Quinto Menicucci: i viaggi per trovare lavoro assieme al fratello Giuseppe, poi i racconti dal fronte. E la ricostruzione dell’albero genealogico, che permise ai suoi figli di non partire per la II° Guerra.  

 

di Alessandro Carli

 

Pallini di piombo – quelli che giacevano nelle pance delle bombe lanciate durante la guerra e che, una volta esplose, lasciavano sul campo numerosi morti – che vogliamo bonificare, visualizzare come quel micro che, assommato ad altre punte (di penna), raccontano il macro. Shrapnels. Che non uccidono, anzi. Piccole perle, storie di uomini. Persone, giovani, che hanno vissuto e soprattutto raccontato – tra un colpo di mitraglia, un viaggio verso il fronte, un amico perso in uno scontro e quel profondissimo senso (o forse necessità) di “nostos”, che in greco significa “ritorno a casa” – la Grande Guerra. Nell’infinita letteratura che dà corpo al mosaico della Prima Guerra Mondiale (tanti gli scritti conosciuti, ma altrettanti non hanno ancora visto la luce), abbiamo scovato un piccolo tesoro: il “diario” di un sammarinese che ha combattuto sul fronte dell’est (il Carso) tra il 1914 e il 1918. Grazie alla generosità e alla sensibilità della famiglia Menicucci, è in corso d’atto la donazione al Centro di ricerca sull’emigrazione – Museo dell’emigrante dell’Università di San Marino, dell’autobiografia di Quinto Menicucci: un prezioso volume che racconta – direttamente dal fronte – il conflitto bellico.

 

Capitolo Quinto

La storia di Quinto Menicucci potrebbe appassionare anche l’ottimo Gian Antonio Stella, giornalista che da anni gira con lo spettacolo “L’orda”, dedicato alle storie di emigrazione. Quinto Menicucci nasce il 4 marzo 1891 a Montefotogno, nel comune di San Leo. Le sue origini legate al monte Titano non risultano nei documenti poiché il nonno non aveva indicato la cittadinanza sammarinese. Quinto venne quindi registrato nelle liste di leva italiane. Nel 1907-1908 è a Trieste, assieme al fratello Giuseppe, per motivi di lavoro, così come nel 1909, quando si reca invece a Genova. Nel 1910 torna nella “porta verso l’est europeo”, in quella città giuliana strategica sin dal passato (è la Trieste che dà l’accesso alla Jugoslavia, è la Trieste di Italo Svevo, è la Trieste di Johann Joachim Winckelmann, uno dei padri del Neoclassicismo, che proprio a Trieste morì). Ma è con il 1911 che inizia la storia “militare” di Quinto Menicucci: sia in quell’anno che in quello successivo, il giovane, che viene sottoposto alle visite di leva, viene dichiarato rivedibile. Ma già nel 1913 (più precisamente il 17 giugno) il sammarinese, chiamato nuovamente alla visita militare, viene ritenuto abile di “prima categoria” e lasciato in congedo sino al 12 settembre del 1913. Da quel giorno inizia ufficialmente la sua vita bellica, che terminerà il 21 agosto del 1919.

 

L’autobiografia


Scritto a penna dopo la guerra in base a una serie di appunti molto precisi, il manoscritto contiene una serie di avvenimenti, fotografie, appunti, riflessioni, che abbracciano un periodo che va dal 1896 al 1964. Lo stile è forte, come forte è – visti i tempi – la retorica patriottica. Come molti giovani, anche Quinto ebbe modo di accrescere i propri studi durante la Grande Guerra: la costruzione delle frasi, le scelta dei termini – sempre molto appropriati – disvela una formazione e una capacità di analisi molto profonde. Quinto fu impegnato soprattutto sul fronte Carsico, come ci testimoniano le due pagine dell’autobiografia che – per gentile concessione – possiamo testualmente riportare.

Le due pagine si soffermano su alcuni fatti piuttosto importanti: una microstoria (l’uccisione di un uomo) e una macrostoria (la presa di Gorizia). Quinto Menicucci scrive un appunto al mese. “1916 – 4 febbraio. Fui mandato in prima linea all’osservatorio cima 4, per quattro giorni e quattro notti coi fanti, tornati in batteria il giorno 8, già trincerata a Bosco Fillandia, il giorno 13 marzo si operò per ben 36 ore sotto il lancio di gas lacrimogeni”.

Alla fine di marzo, esattamente il 27, un lutto che lo toccò da vicino. “Moriva tra le mie braccia un mio ufficiale, Benuzzi, colpito in pieno petto da una palla di srapnel”. Quando l’ufficiale fu seppellito, Menicucci racconta che, vicino alla salma, fu scritto: “Nella visione paradisiaca di Trento e Trieste redente diede la sua giovinezza alla Patria”.

Il 30 giugno del 1916 un piccolo respiro: “Da Bosco Fillandia a riposo a Villa Viola”. Ma già il mese successivo (il 20 luglio) torna il frastuono degli scoppi: “Torniamo al fronte trincerati, sotto il monte S. Michele (Carso)”.

Il 6 agosto, la macrostoria. “Avanzata generale e presa di Gorizia; nel varco rapido del Carso, fui comandato, con altri miei compagni”.

Fu lo scontro che coinvolse l’Isonzo, il fiume a cui il poeta Giuseppe Ungaretti ha dedicato alcune delle sue parole più raffinate (“Questo è il Serchio, al quale hanno attinto, duemil’anni forse, di gente mia campagnola, e mio padre e mia madre. Questo è il Nilo, che mi ha visto, nascere e crescere, e ardere d’inconsapevolezza, nelle distese pianure. Questa è la Senna, e in quel suo torbido, mi sono rimescolato, e mi sono conosciuto”).

Nei combattimenti che seguono l’occupazione del Monte San Michele, ci dice la storia, cadde da eroe Enrico Toti, il Bersagliere volontario con una gamba sola.

 

II° Guerra Mondiale  

 

C’è poi un’altra pagina della sua vita, che vogliamo ricordare. Siamo a ridosso della Seconda Guerra Mondiale e Quinto Menicucci, per non far partire i figli verso il fronte, ricostruisce l’albero genealogico della famiglia. Le sue ricerche arrivarono sino al 1700. Grazie a questo preciso studio, acquisisce la cittadinanza sammarinese e riesce a esentare i figli dal conflitto bellico.

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