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Opportunità telelavoro. Ma solo se c’è fiducia

da Redazione

A San Marino non è una pratica “istituzionalizzata” ma solo “occasionale”. In Italia nel 2002 le parti sociali hanno recepito la legge quadro UE.

 

di Loris Pironi

 

Partiamo da un ragionamento di principio che ogni imprenditore che si rispetti in teoria dovrebbe conoscere bene: se un lavoratore è soddisfatto, produce di più. Abbiamo usato il condizionale perché una recente ricerca dell’Università Luiss di Roma ha invece registrato un tasso altissimo di insoddisfazione da parte dei lavoratori dipendenti, ben il 70% del totale degli intervistati. Ovvio che una situazione del genere non aiuta la ripresa.

Ecco perché l’intento che ci siamo riproposti, come giornale di riferimento di chi fa impresa ma anche dei lavoratori, è quello di stimolare la riflessione, di tentare settimana dopo settimana di far accendere qualche lampadina. Di far percolare all’interno del tessuto imprenditoriale di San Marino qualche idea potenzialmente stimolante per chi cerca nuovi strumenti di ripresa. Qui oggi non si inventa più niente di clamoroso, per carità, ma delle migliori pratiche c’è sempre qualcosa che si può far proprio.

Sul numero 31 di San Marino Fixing, ad esempio, abbiamo lanciato un ragionamento sul welfare aziendale, ovvero tutti quegli ambiti in cui il mondo dell’impresa può affiancare il sempre più appannato welfare pubblico nella tutela dei cittadini, in questo caso lavoratori. Parliamo degli asili nido aziendali o interaziendali, di forme di assistenza agli anziani, di tutta una serie di servizi sostenuti dal datore di lavoro e che non rientrano nella busta paga ma consentono al dipendente un risparmio concreto o delle agevolazioni.

Questa volta ci soffermiamo sulle opportunità offerte dal telelavoro.

 

Il telelavoro: definizione e regole


Semplificando al massimo il concetto di telelavoro, si può inquadrarlo tra le forme contrattuali “atipiche” che il lavoratore dipendente, del settore privato ma anche nell’ambito del pubblico impiego, può svolgere direttamente da casa propria, tramite strumenti telematici come computer e internet. Rientra dunque nel più grande ambito dei lavori a domicilio. Da un punto di vista normativo esiste un accordo-quadro in ambito europeo – firmato nel 2002 – che in Italia è stato recepito dalle parti sociali nel 2004, sottoscritto all’interno di un Accordo interconfederale che ha visto protagonisti tra gli altri Confindustria e le tre principali sigle sindacali, Cgil, Cisl e Uil. Il contratto di telelavoro nel settore pubblico è invece disciplinato da un Dpr del 1999.

Fondamentalmente si tratta di un contratto che va stipulato necessariamente per iscritto e che deve seguire i principi dell’Accordo interconfederale sopra citato, naturalmente rispettando, nel contempo, le disposizioni generali previste dai contratti collettivi di lavoro. Fondamentale è la volontà di scelta del lavoratore dipendente di questa opzione, anche e soprattutto se si tratta di una trasformazione delle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.

 

A San Marino cosa succede?


A San Marino, semplicemente, il telelavoro non è regolato da alcuna norma di legge o da altro genere di accordo tra parti sociali. Anche l’accordo-quadro europeo non è stato preso in considerazione, sebbene proprio a Fixing l’allora Segretario di Stato al Lavoro Francesco Mussoni aveva anticipato in un’intervista la propria intenzione di inserire nel corposo testo della riforma del mercato del lavoro anche l’opzione telelavoro tra gli strumenti da mettere in campo per favorire la competitività e stimolare l’occupazione. Era il novembre del 2011, poi i tempi del confronto si sono allungati, la Legislatura ha avuto vita più breve di quella prevista e con la crisi di Governo la riforma è stata ammucchiata assieme alle altre. Ora Mussoni si occupa di sanità e ancora non abbiamo avuto modo di vedere qualcosa di scritto, più o meno ufficiale (a partire da una nuova bozza della riforma) su cui tra le altre cose è riportata anche la parola telelavoro.

Senza un appiglio normativo è impossibile che questa pratica possa attecchire, e difatti la pratica del telelavoro è utilizzata in maniera sporadica e spesso legata a problemi logistici occasionali: la grande nevicata che costringe il dipendente a non presentarsi al lavoro – ecco che, quando possibile, il telelavoro permette all’impresa di limitare i danni da assenteismo e al dipendente di restarsene al calduccio (e al sicuro) lavorando davanti al proprio videoterminale. Però va detto anche che è sempre più difficile che siano le esigenze del dipendente ad essere ascoltate con il telelavoro, e questo è un altro dato di fatto.

 

Telelavoro: i limiti (anche culturali)


Malgrado i tanti aspetti potenzialmente positivi, anche in Italia il telelavoro ancora non attecchisce. Perché? Innanzitutto si tratta di una questione di fiducia: non sempre il datore di lavoro – più o meno a giusta ragione – riesce a dare fiducia al proprio dipendente: come si fa a controllare quanto produce quando si trova lontano dall’occhio vigile del padrone? E se a mancare è la fiducia è difficile andare lontano…

In un sistema, quello del lavoro, che per funzionare a dovere necessita una rigida regolamentazione, questa opzione ha più chance di funzionare soprattutto nei casi in cui è possibile applicarla con una certa flessibilità. E anche questo non aiuta: occorrerebbe salire di livello, tutti quanti, in fatto di cultura del lavoro.

Però basterebbe pensare a quanto l’insoddisfazione del lavoratore faccia calare la produttività: assenteismo, scarsa partecipazione “costruttiva”, poca propensione al lavoro in team sono elementi negativi che un’impresa che ragiona in termini moderni oggi può combattere con intelligenza.

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