Home FixingFixing San Marino, ammortizzatori sociali: rosso in doppia cifra

San Marino, ammortizzatori sociali: rosso in doppia cifra

da Redazione

Come (purtroppo) anticipato da Fixing, spesi complessivamente 22 milioni. Si è dovuto attingere alla Cassa Compensazione per ben 10 milioni.

 

di Loris Pironi

 

Nella colonna dei ricavi invece mancano all’appello 9.968.125,07 euro, per i quali si è attinto dalla Cassa Compensazione Prestazioni Economiche Temporanee come previsto dall’ultima Legge Finanziaria. Una Cassa che oggi è tutt’altro che senza fondo, ed è per questo che avevamo già lanciato l’allarme, allarme che oggi risuoniamo. Anche perché i primi dati del 2013 raccontano di una situazione che non si discosterà di molto da quella dell’anno passato.

 

Il dato dissezionato


Da qualche anno, alla Cassa per gli ammortizzatori sociali si attinge non più solo per la Cassa Integrazione Guadagni, che resta comunque il capitolo di spesa più ingente (oltre 8 milioni 342 mila euro). Grava la Indennità economica speciale per mobilità, che nel 2012 è costata 5 milioni 140 mila euro. Grava l’indennità di disoccupazione (un altro milione e 70 mila euro circa). Gravano gli incentivi per le riassunzioni (gli oneri dell’art 20 del D.L. 156-2011, per essere più precisi), oltre 2 milioni e 11 mila euro. Gravano – e non poco – gli oneri per l’accreditamento dei contributi figurativi di competenza, 3 milioni 809 mila euro. Gravano i 2.200 mila euro che il Titano ha dovuto rimborsare all’Italia per pagare la disoccupazione dei lavoratori frontalieri. A questi si aggiungono 513 mila euro di non meglio specificate “spese per servizi amministrativi-tecnici e generali”, quasi 24 mila euro di accantonamenti prudenziali per svalutazione crediti e siamo arrivati alla vertiginosa quota di 23 milioni di euro. Per la disoccupazione era stato preventivato solo mezzo milione di euro – il dato finale è più che raddoppiato – per la CIG era stato messo a budget addirittura una cifra maggiore, 10 milioni di euro tondi (conto gli 8,3 milioni spesi). Per l’indennità economica speciale erano stati preventivati 6 milioni e ne sono stati spesi poco più di 5. Hanno fatto “saltare” il banco, se ci passate l’espressione, i contributi figurativi e gli incentivi per le riassunzioni.

 

Riassumere costa


L’intento del Decreto 156-2011 è solidaristico, e in questi tempi così difficili è assai nobile. Però la Cassa Ammortizzatori Sociali è pagata dalle imprese e dai lavoratori, elementi del sistema già messi a dura prova. A loro carico l’onere di pagare in larga parte percentuale, per i primi 18 mesi (in quota variabile, dall’80% al 25%), lo stipendio al lavoratore ripescato tra quelli che percepiscono l’indennità economica speciale o di disoccupazione, è costato oltre 2 milioni di euro in un anno. Una cifra che nasce da una calibratura forse messa a punto con troppa leggerezza dell’articolo 20 del D.L. 156-2011. Oggi è stato infatti calcolato che il costo il costo per la Cassa di ciascun lavoratore rioccupato che guadagni uno stipendio medio di 1.600 euro mensili, al termine di tutto il periodo, è di circa 25 mila euro. Forse, dunque, l’incentivo è troppo elevato. Ricordiamo che la legge precedente prevedeva per il sostegno delle assunzione un intervento diretto da parte dello Stato, oggi invece è tutto a carico della Cassa Ammortizzatori Sociali, quindi appunto da imprese e lavoratori. Forse sarebbe il caso che almeno parte dell’intervento tornasse a carico dello Stato.

 

Previsioni


I dati per il 2013 sono aggiornati solo per i primi due mesi dell’anno. Tra gennaio e febbraio si è attinto alla Cassa Ammortizzatori Sociali per oltre 2 milioni come l’anno precedente; anche per il 2013 per gli ammortizzatori sociali ci si deve attendere un bagno (economico) di sangue.

 

Considerazioni generali


Il costo degli ammortizzatori sociali, e della Cassa integrazione in particolare, è aumentato considerevolmente negli ultimi anni a seguito della perdurante crisi e anche dell’allargamento della possibilità di ricorrere alla CIG a un po’ tutti i settori. Questo è avvenuto con la riforma del 2010 (la L. 73). Ne sono esclusi – citiamo l’art. 6 comma 11 del suddetto provvedimento – soltanto i dipendenti “di organizzazioni associative” e i dipendenti “che svolgano in modo prevalente attività sportive di natura professionistica, di lavoro temporaneo e di lavoro domestico”. A fronte di questa estensione, contestualmente avrebbero dovuto essere messi in campo adeguati strumenti di controllo, per evitare eventuali abusi e un uso distorto. O, meglio ancora, il problema dei controlli. Mancano gli ispettori dell’ISS in giro a verificare se davvero i lavoratori per cui è stata chiesta la CIG non sono comunque sul posto di lavoro, e poi ci sono specifiche attività (vedi quelle che consentono il telelavoro) che sono praticamente impossibili da controllare; per essere più chiari, se il dipendente può svolgere la propria mansione dal computer di casa, come si può dimostrare che è davvero in cassa integrazione? Anche perché a Fixing risulta che siano state avanzate richieste di CIG in periodi o situazioni alquanto discutibili. Questa analisi conferma la necessità di una revisione di tutto l’istituto degli ammortizzatori sociali, peraltro già alle porte, annunciata al Tavolo per lo Sviluppo dal Segretario di Stato al Lavoro Iro Belluzzi. La nube all’orizzonte invece è costituita dall’ipotesi di non poter più attingere più al “tesoretto” racchiuso nella Cassa Compensazione (che di questo passo tra un po’ sarà comunque solo un ricordo). Il che costringerebbe ad aumentare il contributo che annualmente viene versato dalle imprese e dai lavoratori. Il che, a sua volta, significherebbe una diminuzione degli stipendi, un aumento del costo del lavoro. E la conseguente ulteriore riduzione della competitività delle imprese che porterà ad un maggior esborso per gli ammortizzatori sociali. In una terribile, drammatica, claustrofobica, chiusura del cerchio.

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