Home FixingFixing Disoccupazione di massa. Una peste per decenni

Disoccupazione di massa. Una peste per decenni

da Redazione

Visco (Bankitalia): “Da 25 anni indietro rispetto a cambiamenti epocali”. L’ex Belpaese in cinque anni ha perso PIL per 276 miliardi di euro.

 

di Saverio Mercadante

 

Se anche la Germania ha iniziato a rallentare non basterà nemmeno il 2076, come si è ventilato in questi giorni, per tornare in Italia ai livelli pre crisi del 2007.

Per il FMI nel 2013 Berlino crescerà dello 0,3% invece che dello 0,6%, sempre comunque poco, troppo poco, come previsto solo poco più di un mese fa. E ancora una volta anche l’organismo internazionale indica nel suo report che le politiche rigoriste portate avanti soprattutto dalla Merkel in Europa possano essere causa di un ulteriore prolungamento di quella recessione che pesa come un macigno sull’eurozona e che limita ora anche la crescita germanica: se rallentano le esportazioni anche la grande Deutschland soffre, eccome. La Germania esporta ancora poco meno del 40% dei suoi beni e servizi verso l’eurozona. L’effetto “palla al piede” che tracima dalle economie in difficoltà investe la Germania e può condizionarla pesantemente. Dunque, ripete ancora il FMI bisogna evitare “un risanamento eccessivo”. Prospettive nere in Europa, dunque, nonostante Draghi da Shanghai mostri un cauto ottimismo e parli di una ripresa molto graduale verso la fine dell’anno nell’eurozona.

Prospettive nerissime in Italia con i dati della disoccupazione tornata ormai ai livelli del 1977.

Nel primo trimestre del 2013 il tasso di persone senza lavoro è balzato al 12,8% (+1,8% sul 2012).

Male, malissimo anche i dati mensili: ad aprile ci si è fermati al 12%. Considerando i confronti tendenziali è stato il livello più alto dal primo trimestre del 1977. Di massimo storico si tratta: è il livello più alto sia dall’inizio delle serie mensili (gennaio 2004) sia da quelle trimestrali, avviate nel primo trimestre di 36 anni fa.

Aprile però è stato un mese nero anche per l’Europa. Le persone senza lavoro sono state l’11,2%, il livello più alto dal 1995. Stesso record negativo per quella giovanile, arrivata a quota 24,4%. Secondo i dati Eurostat l’Italia è al quarto posto dopo Grecia, Spagna e Portogallo.

In Italia il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è stato pari al 41,9% nel primo trimestre del 2013.

Ha affermato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco: “Non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi 25 anni”, ora, “l’aggiustamento richiesto e così a lungo rinviato ha una portata storica che necessita del contributo decisivo della politica, ma anche della società”.

Le prime mosse da fare, secondo Palazzo Koch, sono le riduzioni delle imposte, necessarie nel medio termine, e pianificabili fin d’ora. E devono essere selettive privilegiando il lavoro e la produzione.

Visco ha poi spiegato come il cuneo fiscale sul lavoro freni occupazione e attività d’impresa e l’evasione è concorrenza sleale e ostacola la crescita. La recessione tira calci in faccia ad un apparato produttivo già steso per terra, ferito profondamente, ed è un detonatore devastante per la coesione sociale.

Il prodotto interno lordo del 2012 è stato inferiore del 7% rispetto a quello del 2007, il reddito disponibile delle famiglie di oltre il 9%, la produzione di un quarto. Le ore lavorate sono state il 5,5% in meno. La perdita cumulata generata dalla crisi, cioè il livello potenziale di crescita che si sarebbe registrato nel caso in cui la crisi non ci fosse mai stata, è pari a 276 miliardi di euro di Pil.

L’Italia rischia di trasformarsi in una Repubblica fondata sul non lavoro, come ha affermato il leader della Cisl Bonanni. Secondo uno studio della Cisl, quest’anno si rischia di mandare in fumo altri 123.000 posti di lavoro, che si aggiungerebbero ai 674.000 persi negli ultimi cinque anni.

Dati che vengono confermati dall’Organizzazione internazionale del lavoro, la International Labour Organization, agenzia delle Nazioni Unite.

In Italia servono, circa 1,7 milioni di posti di lavoro per riportare il tasso di occupazione al livelli pre-crisi, secondo i dati del rapporto ILO 2013 sul mondo del lavoro. A partire dal secondo trimestre del 2008, l’economia italiana ha perso circa 600.000 posti di lavoro e nello stesso periodo la popolazione in età lavorativa è aumentata di circa 1,1 milioni.

Uno stop deciso alla cosiddetta staffetta generazionale: “I lavoratori giovani non devono prendere il posto di quelli più anziani nel mercato del lavoro ed il governo italiano dovrebbe individuare altri mezzi a sostegno dell’occupazione giovanile”.

Il rapporto continua nelle sue previsioni catastrofiche, non catastrofiste. Il numero delle persone senza lavoro nel mondo continuerà immutabilmente a crescere: dagli attuali 200 milioni a 208 milioni nel 2015, fino a 214 milioni nel 2018.

E’ la classe media che paga il prezzo più pesante, il declino sembra senza fine. In Spagna la classe media è diminuita dal 50% nel 2007 al 46% nel 2010.

Negli Stati Uniti d’America la forbice tra i ricchissimi e gli altri è sempre più larga: il 7% più ricco della popolazione ha registrato un aumento del reddito netto medio dal 56% nel 2009 al 63% nel 2011, mentre il rimanente 93% ha subito una contrazione.

In Germania e ad Hong Kong, ad esempio, il salario degli amministratori delegati delle imprese più grandi è aumentato di oltre il 25% tra il 2007 e il 2011. Negli Stati Uniti, gli amministratori delegati delle aziende maggiori, nel 2011, hanno guadagnato mediamente 508 volte il reddito di un lavoratore medio. Di nuovo la parola d’ordine è risanamento fiscale a un ritmo sostenibile, e maggiore attenzione alle conseguenze occupazionali e sociali delle politiche macroeconomiche.

E’ allarme rosso: è necessaria più che mai “trovare una soluzione rapida alle insufficienze”.

E in questi giorni è arrivato uno studio teorico, e forse catastrofista ma basato su dati Istat, quindi si presuppone abbastanza vicino alla realtà, se lo scenario rimanesse quello attuale.

E’ un’analisi dell’ufficio economico della CGIL, fa previsioni da brividi, agghiaccianti, senza speranza per generazioni. Ottimisticamente si parte dal 2014, quando dovrebbe arrivare una modesta, piccola ripresa.

E’ stato “moltiplicato nel tempo” il tasso di crescita previsto dall’istituto di statistica (+ 0,7%). Considerando che dal 2008 il Pil ha perso mediamente 1,1% all’anno, per riportare il Prodotto Interno Lordo ai livelli del 2007 ci vorranno 13 anni.

Ma è sul fronte dell’occupazione che la previsione è da “guerra dei 60 anni”. Per ritornare alle 25.026.400 unità di lavoro standard del 2007, partendo dalle 23.531.949 previste nel 2014, ci vorranno, appunto, 63 anni: anno 2076.

In questo scenario l’intera popolazione attuale in età da lavoro non vedrà mai la fine del tunnel della disoccupazione di massa.

Il tempo calcolato dallo studio Cgil infatti supera di un buon numero di anni l’arco temporale lavorativo.

Addirittura, la mancanza di ripresa, secondo lo studio, coinvolgerà anche i giovanissimi, quelli cioè ancora nel mercato del lavoro non ci sono entrati, perché ancora stanno studiando.

Naturalmente è possibile che succeda esattamente il contrario di queste teoriche previsioni.

Che le condizioni dei mercati cambino velocemente. Che un nuovo mondo, un nuovo rinascimento appaia all’improvviso all’orizzonte. Che un nuovo boom economico, italiano, europeo, o mondiale rigeneri l’Europa, l’Africa, Oriente, Occidente. Che le spedizioni su Marte e sulla Luna ci portino insperati vantaggi, energie, minerali, incontri ravvicinati del terzo, quarto, quinto tipo…

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