Home FixingFixing Caso Ilva di Taranto: schizofrenia italica tra eccellenze e incubi

Caso Ilva di Taranto: schizofrenia italica tra eccellenze e incubi

da Redazione

La chiusura dello stabilimento pugliese, il più grande stabilimento d’Europa per la produzione dell’acciaio, avrà un effetto a cascata anche sugli altri stabilimenti del gruppo (Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica).

 

di Saverio Mercadante

 

Il bello, il brutto e il cattivo. Il bello, Brunello Cucinelli, il brutto, la famiglia Riva, il cattivo, la magistratura.

L’Italia mostra in questi giorni tutta la schizofrenia di un paese di enormi potenzialità e di catastrofiche contraddizioni.

“Crediamo che l’Italia possa diventare una sorpresa positiva nel 2013”, ha dichiarato Jim O’ Neill, il guru degli investimenti del colosso bancario americano Goldman Sachs.

La vicenda dell’Ilva di Taranto è esemplare. Da lunedì, di fatto, l’azienda è chiusa, travolta da un devastante tutti contro tutti.

Magistratura contro azienda, governo contro magistratura, sindacati contro il governo e anche contro la magistratura.

Quest’ultima, ha fatto eseguire sette nuovi provvedimenti di custodia cautelare contro i proprietari dell’Ilva, i Riva, alcuni manager e politici locali. E hanno sequestrato prodotti finiti e semilavorati di acciaio perché realizzati in violazione delle prescrizioni del sequestro dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico.

Immediata la reazione della famiglia Riva: chiusa tutta l’area a freddo e a casa cinque mila dei dodicimila dipendenti, senza preavviso e senza salario.

Il sequestro del prodotto pronto alla consegna avvenuto nei giorni scorsi comporta per l’Ilva “l’impossibilità di commercializzare i prodotti e, per conseguenza, la cessazione di ogni attività”.

Per il governo italiano una bomba industriale e sociale difficilissima da disinnescare.

Il gruppo Riva è il quarto in Europa nella siderurgia.

La chiusura di Taranto, il più grande stabilimento d’Europa per la produzione dell’acciaio, avrà un effetto a cascata anche sugli altri stabilimenti del gruppo (Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica). Coinvolti oltre ai dodicimila dipendenti, tra i cinque e i settemila dell’indotto.

Ora, la Federacciai-Confindustria ha già quantificato tra 5,7 miliardi e 8,2 miliardi di euro le ripercussioni negative sull’economia italiana: mezzo punto del prodotto interno lordo.

Se l’Italia dovesse importare i cinque milioni di tonnellate di acciaio che ora produce Taranto, secondo Federacciai, l’esborso verso l’estero oscillerebbe tra 2,5 miliardi e 3,5 miliardi.

Sul versante delle esportazioni, si perderebbero tra 1,2 e due miliardi di euro. Il danno per la bilancia commerciale italiana andrebbe da un minimo di 3,7 miliardi a un massimo di 5,5 miliardi. A questi si devono aggiungere da 750 milioni e 1,5 miliardi che gli attuali clienti dell’Ilva dovrebbero sopportare di maggiori costi per la logistica e gli oneri finanziari.

Un altro miliardo per gli ammortizzatori sociali e 250 milioni per il calo dei consumi conseguente al tracollo dei redditi in tutta l’area di Taranto.

Un disastro da quasi nove miliardi di euro. Situazione drammatica, dunque, che il governo italiano vorrebbe risolvere con un decreto legge che consenta all’Ilva di andare avanti neutralizzando gli effetti dell’inchiesta penale.

Il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, che aveva promosso e ottenuto l’approvazione dell’Autorizzazione ambientale integrata (AIA), ha affermato che i nuovi provvedimenti della magistratura rischiano di vanificare le decisioni del governo, tese anche all’avvio dei lavori di risanamento e messa in sicurezza ambientale dell’impianto.

L’Autorizzazione ambientale integrata prevedeva che siano effettuati interventi nell’area in cui si tratta il materiale agglomerato: il sistema per filtrare le polveri non funziona al meglio ed è in questa zona che si produce la diossina.

Altri interventi devono essere realizzati nelle cokerie (dove si produce il coke, combustibile per i forni dove si fondono i metalli), da cui si levano sostanze cancerogene come il benzopirene, oltre i limiti di legge.

L’AIA prevedeva poi la copertura dei siti dove vengono depositati i minerali destinati alla lavorazione, e che producono polveri che raggiungono la città, la messa in sicurezza ambientale degli altiforni e delle acciaierie. Il piano è progressivo, e prevede i primi interventi entro sei mesi.


Il bello di Cucinelli

 

Chiamatela super tredicesima o Gran Regalo di Natale, ma Brunello Cucinelli, come la Volkswagen in Germania, ha deciso di condividere gli utili con i propri dipendenti. In un’Italia spenta, corrotta e parassitaria, e che non vede ancora la luce in fondo al tunnel della crisi, l’azienda umbra offre un esempio che non ha eguali sulla Penisola. Il re del cachemire, da qualche mese in Borsa con grandissimo successo ha preparato un dono da 5 milioni di euro da mettere sotto l’albero di Natale dei propri dipendenti: 783, per l’esattezza. In soldoni, sono 6385 euro a testa.

“Questo vuole essere un dono di famiglia, qualcosa che va aldilà dell’azienda che è quotata in Borsa” ha detto Cucinelli.

“Abbiamo voluto dare un premio a chi è cresciuto insieme a noi e l’abbiamo comunicato ai dipendenti” ha aggiunto. Qualcuno ha voluto ipotizzare che il passo è stato compiuto per contrastare in qualche modo la polemica del sindacato che lamenta un certo ostracismo al suo ingresso in azienda.

che ha slegato però il dono ai dipendenti dalle ultime polemiche tra l’azienda umbra e il sindacato, che si lamenta degli ostacoli che verrebbero frapposti dalla proprietà al suo ingresso nell’azienda umbra. “Assolutamente no, – ha detto Cucinelli – è una cosa a cui stavo pensando da tempo”.

L’azienda di Cucinelli è famosa in tutto il mondo per le pregiate lavorazioni in cash-mere. Lontano dai centri strategici dell’attività economica e commerciale, nel piccolo borgo medievale di Solomeo nel cuore dell’Umbria, Cucinelli ha saputo costruire un piccolo impero imperniato su un altissimo artigianato che oggi è il cuore di un’impresa che esporta in più di cinquanta Paesi.

L’azienda umbra in questi anni ha registrato una crescita inarrestabile coronata, giusto nello aprile scorso, dal boom della quotazione in Borsa.

Solo da giugno il rialzo delle azioni è stato del 50%.

“Sono convinto, per l’Italia in particolare, che ci sia un sicuro avvenire se sapremo produrre beni di grande qualità, di grande artigianalità e di grande unicità, qualità queste che appartengono alla tradizione delle nostre genti. Ma, ciò che mi preoccupa di più, è come riuscire a convincere i giovani a venire a lavorare nelle nostre imprese, dal momento che, per effetto della bassa remunerazione non hanno la coscienza di quanto prezioso sia il lavoro che fanno e quanto significato abbia. Dobbiamo dare dignità a questo tipo di ricchezze che ci sono nel nostro Paese.

“Gli insegnamenti arrivano dal passato, proprio da queste terre rinascimentali: Lorenzo il Magnifico considerava gli artigiani in qualche maniera fratelli dei grandi artisti”, ha affermato con forza Cucinelli in una intervista alla Stampa di Torino.

Ecco l’Italia è questa: dall’aria incantata e pura di un paese dell’Umbria medievale, divenuto sede diffusa di un’azienda leader internazionale, al quartiere Tamburi all’ombra delle ciminiere nere dell’Ilva, ricoperto di polveri rosse provenienti dallo stabilimento.

Le finestre delle abitazioni sono chiuse. I bambini non possono giocare liberi nei cortili: troppo pericoloso, secondo gli abitanti del rione Tamburi, lasciarli all’aria aperta.

Anche le lapidi del cimitero sono ricoperte di polvere: la pietre di granito o marmo appaiono come ossidate.

Una domanda senza risposta nelle menti degli abitanti di Taranto, che hanno mariti, padri, fratelli, figli in fabbrica. Lavoro o salute?

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