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Cina, i nuovi padroni per i prossimi 10 anni

da Redazione

Xi Jinping e Li Kequiang i due leader della seconda economia del mondo. Punire la corruzione personale per fermare democrazia e riforme.

 

di Saverio Mercadante

 

Corruzione e democrazia, corruzione e riforme. Il diciottesimo congresso del partito comunista cinese che eleggerà tra pochi giorni la leadership dei prossimi dieci anni sembra non avere altra scelta: rinunciare a qualsiasi vero cambiamento per non incrinare il moto perpetuo dell’economia cinese in affanno e delle menti cinesi in preda a pericolose derive democratiche. Nessuno crede che nei prossimi anni la Cina accenni qualche passo verso il riformismo. “Non dobbiamo prendere la vecchia strada, chiusa e rigida – ha detto Hu Jintao nel discorso d’apertura -, né dobbiamo prendere la vecchia strada di cambiare bandiere e stendardi”. Retorica squisitamente cinese per affermare che la Cina non abbandonerà il sistema a partito unico, dunque ancora sulla via socialista cinese, per raddoppiare il reddito rurale e urbano entro il 2020. Difficile, molto difficile. L’ascesa portentosa dell’economia cinese ha creato gravi danni ambientali, sanitari e sociali. Crescita diseguale (è stata la linea di Deng Xiaoping con le sue aperture al mercato e all’arricchimento diseguale: è lecito che qualcuno diventi più ricco prima di altri, diceva) che ha provocato malcontento nella popolazione. Il numero delle proteste è passato da 8.700 casi nel 1993 ai 230 mila di oggi. Sebbene il traino dell’economia cinese sia rappresentato dalle piccole e medie imprese, circa due terzi del prodotto interno lordo, sono tornate alla ribalta le società pubbliche. Il drastico ridimensionamento nella seconda metà degli anni ‘90 sembra un brutto sogno ormai dimenticato. Nell’ultimo decennio le grandi aziende di Stato hanno recuperato tutta l’influenza passata. Sono al centro dell’economia cinese, hanno accesso privilegiato al credito, sono i più potenti monopoli e oligopoli del paese. Hu Jintao è stato molto criticato per questo redivivo “capitalismo” statale che ha rigenerato inefficienze e una profonda distorsione nell’allocazione delle risorse all’interno del sistema economico. Allora meglio concentrarsi sulla corruzione. Hu Jintao ha affermato senza mezzi termini che se il Pcc non perseguirà con forza la strada delle riforme anticorruzione che la Cina ha intrapreso, sia il partito, sia il sistema cinese nella sua interezza potrebbero essere spazzati via. E’ il solito bradisismo della cultura politica cinese dopo la morte dei Grandi Timonieri Mao –Tze -Tung e Deng XiaoPing: l’ossessione delle derive personalistiche e della gestione collettiva del potere. La corruzione è sempre personale mai di sistema, è sempre locale mai dell’autorità centrale. Quindi, maoisticamente colpirne uno per educarne cento come dimostra il caso recente di Bo Xilai, l’ex potentissimo segretario del partito a Chongqing, leader locale in grande ascesa. Il presidente della nuova Cina sarà Xi Jinping del Segretariato Centrale del Pcc, (Giulio Tremonti dice che Xi Jinping “è un politico e intellettuale straordinario, non comune: tra i leader che ho incontrato quello che più mi ha impressionato”), e Li Kequiang, attuale vicepremier di Wen Jiabao, sarà il primo ministro. Il Partito comunista cinese rimane comunque una gioiosa macchina da guerra. Ma si tratta pur sempre di una elite. Non è vero che tutti i cinesi sono membri del Pcc: ottanta milioni di tesserati su più di un miliardo di abitanti. I nuovi leader dovranno gestire una transazione morbida che farà i conti con un’economia balbettante. Nell’ultimo anno la crescita del prodotto lordo è scesa ai minimi degli ultimi tre anni a causa dell’indebolimento della domanda mondiale che ha penalizzato le esportazioni del made in China. E per lo sgonfiamento della bolla immobiliare che ha ridotto l’attività del settore trainante dell’economia cinese. Secondo gli analisti, le politiche monetarie e fiscali espansive varate dal Governo a partire dalla scorsa primavera, dovrebbero permettere di arrivare all’obiettivo programmato del tasso di crescita al 7,5% .

Quando si parla di economia cinese non si può ignorare la potenza dell’Esercito cinese di Liberazione popolare: due milioni e trecentomila unità. Con un budget di circa 130 miliardi di euro (un quarto della spesa americana), che dovrebbe aumentare e non di poco entro il 2035. Secondo i dati dell’ Istituto internazionale di ricerca sulla pace a Stoccolma, la spesa militare cinese sarebbe invece di oltre 140 miliardi dollari. Gli investimenti sarebbero saliti di 25 miliardi di dollari nel 2011, rispetto ai 7,3 del 2000. Una montagna di soldi e di influenza politica sul paese che potrebbe rimanere nelle mani del settantenne Hu Jintao. Potrebbe essere lui il capo della Commissione militare per influenzare ancora la politica estera e usare l’esercito come influentissimo agente politico interno. Sullo sfondo la rielezione di Barack Obama sospettato di avere mire precise in Asia.

E’ necessario rafforzare la propria difesa con la cosiddetta crescita pacifica, heping jueqi, insediamenti strategici dal Pacifico all’Oceano Indiano. Sullo sfondo, il definitivo cambiamento dell’immaginario cinese, l’ideologia al servizio della pubblicità. Uno degli slogan più famosi di Mao, straordinario comunicatore, che avevano attecchito anche nel mondo della sinistra occidentale è diventato il nome di un sito commerciale. Servire il popolo, wei renmin fuwu, disse Mao Tse Tung nel 1944 commemorando la morte di Zhang Side, eroe della rivoluzione ( in Italia fu anche il nome del giornale di una formazione politica extraparlamentare, l’Unione Comunisti Italiani (marxisti-leninisti) che vedeva accanto al leader Aldo Brandirali, avvicinatosi in seguito a Comunione e Liberazione e, negli anni novanta passato alla Democrazia Cristiana e poi a Forza Italia, anche Marco Bellocchio, Pierangelo Bertoli, Renato Mannheimer, Antonio Pennacchi, Antonio Polito, Michele Santoro, Nicola La Torre) è diventato il nome di un sito di e-commerce che vende beni di consumo di ogni genere, anche articoli per sexy shop.

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