Home FixingFixing Alla ricerca della felicità perduta E’ la crisi che deprime gli italiani

Alla ricerca della felicità perduta E’ la crisi che deprime gli italiani

da Redazione

E’ una specie di epidemia, un crollo verticale della felicità quella che travolge gli italiani sempre più depressi e infelici. Che si sentono vessati da un continuo furto del futuro. Nemmeno dopo la seconda guerra mondiale la Penisola era attraversata da tanta disperazione.

E’ una specie di epidemia, un crollo verticale della felicità quella che travolge gli italiani sempre più depressi e infelici. Che si sentono vessati da un continuo furto del futuro. Nemmeno dopo la seconda guerra mondiale la Penisola era attraversata da tanta disperazione.
Lo rivela una serie di sondaggi di AstraRicerche. Sono stati monitorati 5.000 cittadini italiani dai 18 ai 74 anni. Se nei decenni precedenti la percentuale degli italiani felici era pressoché fissa attestandosi intorno al 39%, dall’inizio del 2011 l’infelicità ha dilagato. A metà 2012 gli infelici integrali sono aumentati dal 12% di due anni prima fino al 17%, mentre quelli veramente appagati dalla propria vita sono crollati dal 39% al 29%. Dunque, drammaticamente, la gioia di vivere è scappata via da più di un quarto dei propri componenti in meno di due anni. Nella percezione della condizione economica personale e dei familiari il dato è ancora più netto: all’inizio di luglio 2012 ben il 70% degli intervistati ha affermato che “le cose vanno male o malissimo”. Nel gennaio del 2010 la percentuale degli insoddisfatti del proprio tenore di vita era ancora minoritaria (48%). Nel giugno del 2011 l’ondata di piena dell’infelicità ha rotto gli argini quando la quota di scontenti era pari al 55%.
Stessa penalizzante sensazione di precarietà se si parla del futuro atteso. Gli italiani pessimisti sulle proprie prospettive a breve termine hanno superato il 61%: erano il 37% a inizio 2010. Come se non bastasse, secondo il 58% degli intervistati il quadro non migliorerà nei prossimi tre anni e il futuro risulta portatore di felicità solo per il 25% della popolazione. Ma non si tratta  solo di crisi economica, secondo Enrico Finzi il sociologo che ha pubblicato i sondaggi nel suo libro “Felici malgrado”, edito da Ecomunicare, anticipato dal Fatto Quotidiano, è qualcosa di più: la fine della speranza, il senso di perdita prospettica.  E un dato assolutamente inedito nella storia post-bellica”. I motivi principali dell’infelicità diffusa e del pessimismo sono noti: disoccupazione in aumento, inoccupazione dei giovani, ridimensionamento di redditi e risparmi, calo della protezione del welfare, aumento della pressione fiscale. Ma è lo scippo del futuro quello che devasta gli italiani storicamente tra i paesi meno pessimisti del mondo. La forbice dello spread psicologico è sempre più larga. Il governo Monti, secondo le risposte del campione preso in considerazione è uno dei detonatori di infelicità. All’inizio di settembre 2012 il rapporto tra chi lo considera “creatore della propria infelicità” e chi lo giudica felicitante era di quindici a uno: il peggiore della storia post-bellica conosciuta.
“Sia ben chiaro, Mario Monti continua a godere dell’approvazione di un italiano su due. E’ il suo governo che genera insoddisfazione. Monti paga dazio per il suo team di ministri, che costituiscono una gigantesca macchina generatrice di infelicità senza precedenti”, scrive Enrico Finzi. “I tecnici sono sotto accusa: avrebbero alterato il patto sociale senza considerare sino in fondo le conseguenze drammatiche delle loro azioni. Dopo la riforma Fornero la fascia di italiani che si ritengono maggiormente pessimisti e depressi è scivolata verso l’alto, dai 45-54enni ai 55-64enni”.
L’Italia è come se vivesse un pericolosissimo stato di attesa dove è possibile che scoppi una violenza incontrollata. Ma la capacità di resilienza, la capacità di adattamento degli italiani, è ancora alta. Un italiano su due si impegna per migliorare la propria condizione e la tendenza è in crescita.
“Ci si impegna per migliorare la propria felicità nel privato, negli affetti, ma anche per aiutare il paese ad uscire dalla crisi: si stanno ritrovando le ragioni della solidarietà, della cooperazione e della responsabilità individuale. Ci sono sempre più persone che si impegnano per convogliare la delusione verso forme di reazione concrete alla crisi economica e politica e alla mancanza di leadership”.  
Un ruolo determinante potrebbero averlo le donne che nell’analisi di Finzi: emergono come il vero nuovo soggetto di cambiamento: sono portatrici di valori, di equità, di care, inteso come preoccupazione per gli altri.  Leggono più libri,  usano internet e le nuove tecnologie come gli uomini e e hanno molto meno partecipato ai fenomeni di degenerazione che hanno devastato l’Italia.

 

Firenze la città più felice d’Italia

In Lombardia ci vogliono almeno 1.500 euro per non essere infelici, come in Veneto e in Emilia Romagna, si scende a 1.000 euro per la Campania e bastano 900 euro in Sicilia. E’ per questo che, secondo uno studio della camera di Commercio di Monza e Brianza, basato su dati Istat e del Ministero dell’Economia, le famiglie vivono più ‘felici’ a Firenze, Genova e Palermo.
Nel capoluogo toscano solo il 18,9% delle famiglie è al di sotto della soglia della felicità, a Genova il 21,1% e a Palermo il 21,8%.
E la ‘grassa’ Bologna (24,2%) è più infelice di Milano (23,8%). Complessivamente, considerando diversi parametri oltre il reddito, la qualità della vita percepita in Lombardia è superiore alla media nazionale, spagnola e francese, ed in linea con quella tedesca.
I soldi – sottolinea lo studio – non fanno la felicità, eppure in questo periodo di crisi il giudizio e la percezione del proprio benessere è influenzato principalmente dal reddito: in Lombardia, per esempio, solo se le entrate al mese per famiglia sono comprese tra i 1.500 euro e i 2.000 euro si può pensare di essere ottimisti.
L’indice della felicità, varia da regione a regione: se in Lombardia occorrono, quindi, almeno 1.500 euro per non essere infelici, come in Veneto e in Emilia Romagna, in Piemonte la soglia è di 1.400 euro, servono 1.300 Euro per la Toscana ed il Lazio, 1.200 per la Liguria. La soglia scende fino a 1.000 euro per la Campania e bastano 900 euro in Sicilia.
In particolare, analizzando alcuni capoluoghi, le famiglie italiane vivono meglio a Firenze, dove solo il 18,9% delle famiglie è al di sotto della soglia della felicità.
Il capoluogo toscano precede Genova (21,1%) e Palermo (21,8%). A Napoli le famiglie infelici rappresentano il 22,8% del totale. A Milano, Bologna e Roma è infelice circa una famiglia su quattro, rispettivamente il 23,8%, il 24,2% e il 25,2%. A Torino e a Verona la felicità costa davvero cara: è infelice il 27,2% e il 27,6% delle famiglie.

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