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Audi vuol comprarsi la Ducati. Il segreto del successo del gruppo tedesco

da Redazione

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Anche la Ducati vorrebbero comprarsi i tedeschi. E che tedeschi: Audi, il colosso automobilistico in mano a Volkswagen, offre 862 milioni di euro. E mentre Fiat va piuttosto male in Europa, il gruppo tedesco (in mano a VW) vola. Vi spieghiamo come.

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Anche la Ducati vorrebbero comprarsi i tedeschi. E che tedeschi: Audi, il colosso automobilistico in mano alla Volkswagen, offre 862 milioni di euro.

Il gruppo Volkswagen intanto colleziona nel 2011 un

+25,6%, quasi 160 miliardi di euro: quasi tre volte Fiat-Chrysler, con profitti per 15,8 miliardi, più che raddoppiati rispetto al 2010.

Anche Audi celebra l’anno più importante da quando ha aperto: 1,3 milioni di auto vendute. Bmw ha annunciato che assumerà altri 4.000 dipendenti.

Va piuttosto male, invece, in Europa il Lingotto. A febbraio Fiat Group Automobiles ha immatricolato in Europa 66.249 nuove vetture, segnando un calo del 16,5% rispetto alle 79.309 dello stesso mese del 2011. Nel gennaio scorso le vendite del Lingotto in Europa erano scese del 15,9% a 69.479 unità.

In particolare per quanto riguarda i singoli brand del gruppo del Lingotto, secondo i dati dell’Acea, Fiat a febbraio ha immatricolato in Europa 46.671 vetture, in calo del 18,3% rispetto alle 57.112 del febbraio 2011: Alfa Romeo ha venduto 8.102 unità, segnando un calo del 29,4%. In controtendenza Lancia/Chrysler, che ha venduto 8.887 vetture (crescita del 3,1%), e Jeep, con 2.257 immatricolazioni, in aumento del 58,1%.

 

Prodotto più concertazione

Puntando al prodotto, investendo miliardi di euro in questi anni sul prodotto, dando retta più ai propri ingegneri che alla finanziarizzazione dell’impresa.

Il sistema tedesco poggia dunque su un pilastro decisivo, l’engineering: VW ha puntato per vent’anni soltanto sul prodotto, anche BMW lo fa da oltre vent’anni e Mercedes ha ricominciato a farlo in modo più sostenuto da circa dieci anni.

Nel 2011 i profitti operativi del gruppo VW, quelli legati all’attività industriale, hanno raggiunto il 7 per cento dei ricavi. La Fiat, grazie più che altro al traino della Chrysler, arriva a malapena al 4 per cento. Il gruppo tedesco finanzia senza problemi investimenti per oltre il 5 per cento del fatturato.

I maggiori utili di VW non vengono dall’Europa, bensì per la maggior parte dalla Cina, in parte, dall’America Latina, dagli Stati Uniti e dall’Europa settentrionale. Nell’Europa meridionale, invece, Volkswagen continua ad avere problemi: Seat, marchio del gruppo Volkswagen, resta in rosso.

L’altro decisivo pilastro, la concertazione aziendale con un sindacato che rimane ancora molto forte. Volkswagen ha prodotto 800 mila auto all’anno, circa 100 mila più di quanto produce in totale la Fiat nei suoi cinque impianti italiani. Un’apparente, enorme contraddizione di successo: il gruppo tedesco ha continuato in questi anni a delocalizzare la produzione, dal Messico alla Cina via Slovacchia senza tagliare un posto di lavoro in Germania. Ma la concorrenza arriva anche dai territori dell’ex Germania Est: le fabbriche si offrono anche a meno di 10 euro l’ora. Meno della metà dello stipendio lordo dell’operaio Volkswagen.

E davvero la concertazione con il sindacato IG Metall, a cui è iscritto il 95 per cento circa degli operai di Wolfsburg, sembra il vero valore aggiunto dell’azienda tedesca. E’ compartecipe di ogni scelta aziendale. Il sindacato nomina la metà dei 20 membri del consiglio di sorveglianza, l’organo di controllo sulla gestione.

Il sindacato ha ottenuto che sino al 2014 che l’organico dei stabilimenti tedeschi non potrà diminuire. Sul piatto della bilancia ha ceduto in flessibilità.

Da otto anni tutti i nuovi assunti lavorano 35 ore settimanali invece delle 33 degli operai con maggiore anzianità.

Si è tornati a lavorare su tre turni nell’arco delle 24 ore, ma dall’anno scorso è stato introdotto una forma di premio di rendimento (80-100-120 euro al mese). Dopo molte resistenze il sindacato ha dato via libera all’ingresso in fabbrica di lavoratori a tempo determinato, con salari del 20-30 per cento inferiori a quello dei colleghi assunti in pianta stabile.

Funziona molto bene anche l’apprendistato.

Ogni anno 1. 250 giovani delle scuole superiori entrano nei sei stabilimenti tedeschi (600 solo a Wolfsburg) per un periodo di formazione di 36 mesi. Di solito quei contratti si trasformano in assunzioni a tempo indeterminato dopo il via libera di una commissione mista tra sindacati e ufficio del personale.

In Germania la paga base di un operaio si aggira, al netto di tasse e contributi, sui 2. 700 euro, ma con qualche ora di straordinario è facile arrivare a quota 3 mila. Il lavoro alla catena di montaggio è pagato all’incirca il doppio rispetto a Mirafiori o nelle altre fabbriche.

In questi giorni Volkswagen ha assegnato a un bonus di 7500 euro ai suoi 9 mila lavoratori e punta a diventare il primo produttore di automobili del mondo. E il caso della Volkswagen non è assolutamente isolato: anche Daimler, Porsche e Audi hanno staccato un bel premio produzione ai propri operai rispettivamente di 4100, 7600 e 8251 euro.

Sono molto lontani i mesi della crisi del 1993: per evitare il taglio di 30 mila dipendenti in WW si decise di ridurre a 28 ore l’orario di lavoro settimanale.

 

 

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