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San Marino, il Rettore Petroni e il Parco Tecnologico

da Redazione

“Il trasferimento tecnologico” dai centri di ricerca alle imprese è un passaggio fondamentale per la crescita di competitività. Intervista di Fixing al Rettore dell’Università di San Marino, Giorgio Petroni.

di Alessandro Carli

 

“Il trasferimento tecnologico” dai centri di ricerca alle imprese è un passaggio fondamentale per la crescita di competitività, in particolare per tutte le PMI che non dispongono di proprie strutture adibite alla ricerca. Un argomento estremamente attuale, e che il professor Giorgio Petroni – Rettore dell’Università della Repubblica di San Marino – ha messo al centro di una pubblicazione, presentata giovedì scorso. Il libro affronta in maniera sistematica una problematica che da qualche tempo ha assunto un particolare rilievo, poiché incide profondamente nella competizione anche internazionale del sistema delle imprese. Le stesse società finanziarie guardano ormai con interesse alla possibilità di sostenere il trasferimento di tecnologie nei vari settori industriali per consolidare il patrimonio tecnologico nelle varie strutture produttive.

Rettore, come avviene il processo di osmosi tra i centri di ricerca e le imprese?

“E’ la domanda cruciale. In questo libro, che ho iniziato circa 3 anni fa, ho voluto cogliere l’opportunità che ci segnala la letteratura economica industriale: l’innovazione ha un costo piuttosto elevato, che cresce in maniera esponenziale. Per creare prodotti nuovi occorrono molti investimenti. La ricerca costa sempre più cara: per competere le PMI hanno bisogno di innovazione ma non sono in possesso di un reddito che permetta di avere alcune aree dedicate alla ricerca e allo sviluppo”.

Quindi sono obbligate a ‘prendere’ da fuori le conoscenze tecniche?

“Trovare tecnologie già pronte e già utilizzate in altri settori è molto stimolante. Il ‘trasferimento’ non è solo spin off ma è anche ‘prendere’ le tecnologie da altri settori. Un esempio? Il titanio. Utilizzato nello spazio, ha consentito di salvare molte persone anziane dalle fratture, e non si tratta, chiaramente, di una tecnologia creata dalla medicina. O come il sistema UHT per la conservazione del latte, un processo ideato da un biologo. Mai come in questo momento si parla di trasferimento tecnologico. L’open innovation, ovvero lo scambio tra imprese, si è sempre fatto. Oggi però il trasferimento tecnologico sta attraversando un periodo di grande fertilità, anche perché oggi l’information tecnology lo permette”.

Lei è uno dei grandi promotori del parco scientifico e tecnologico a San Marino: ha dedicato qualche pagina al progetto?

“Siamo in forte ritardo. Siamo stati attirati dai distretti italiani: Prato, Carpi, Sassuolo, Verona, ecc. I distretti però stanno evaporando in quanto sono produzioni che non riescono a resistere a causa del differenziale del costo del lavoro: rimangono solo le funzioni direttive. Bisogna cambiare strategia. O meglio: la Repubblica deve mettere a punto una strategia. Il parco scientifico e tecnologico non interessa solo a San Marino, ma anche alla Provincia di Pesaro-Urbino e a tutta la Regione Emilia-Romagna. E non va in collisione con i tecnopoli, che di fatto sono un’aggregazione di imprese su scala regionale. Il parco scientifico e tecnologico è altro. Ci sono molti motivi per cominciare, ma serve una decisione politica. San Marino, dal punto di vista logistico, ha una posizione strategica: nel raggio di 100 km c’è Arezzo, Firenze, Urbino, Rimini, Ravenna, Pesaro. E’ una risorsa immensa. E’ necessario aprire un dibattito sulle politiche industriali: bisogna essere più reattivi e cercare di creare una società che si fondi sulla conoscenza”.

Il ruolo dell’Università, in questo senso, è di primo ordine?

“Nel Parco Scientifico i laboratori delle imprese industriali che fanno ricerca e sviluppo collaborano con i dipartimenti universitari. Così sono nati i Parchi e così devono rimanere. Questa collaborazione interdisciplinare, che genera una gamma di competenze più ampie, produce una maggiore capacità di innovazione. Tra maggio e giugno del 2011 – per un mese – l’Università organizzerà un corso per studenti statunitensi. L’Università, in questo senso, cerca di dare un contributo reale e concreto”.

 

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