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Come Menichella risollevòil sistema bancario italiano

da Redazione

Con l’intervento di Marcello De Cecco si sono chiuse le “Meditazioni riminesi”. Grazie alla legge del 1936 Roma uscì dalla Grande Crisi del 1929

Marcello De Cecco, noto al grande pubblico perché interviene spesso e con acume per commentare le vicende economiche del paese, è uno di coloro che più conoscono e meglio capiscono le dinamiche di lungo periodo del nostro sistema economico.
“Le meditazioni riminesi”, quest’anno imperniate su “La filosofia della ricchezza. Riflessioni sul pensiero economico e sugli economisti”, si sono chiuse con l’intervento prestigioso del professor De Cecco che, nell’Aula 1 del Complesso Alberti del Polo riminese dell’Università di Bologna, ha trattato affrontato un tema di grande attualità: “Governare la crisi, il contributo del pensiero economico italiano”.
“Molti professori che hanno insegnato anche ad alto livello – ha esordito De Cecco – poi hanno avuto un esperienza di vita pratica, cioè di partecipazione alla costruzione attiva della storia economica dell’Italia. Nomi illustri già prima di essere nominati in queste alte cariche, ad esempio Luigi Einaudi. Invece quelli di cui vi parlerò, e sono abbastanza pochi, sono gente che nella parte accademica della propria vita non ha passato troppo tempo, mentre invece si è fatta una sua carriera attraverso vari percorsi, anche per preferenze personali. Sono uomini che si sono dedicati alla finanza, alla moneta, alla banca e poi all’industria pubblica, qualcuno all’industria privata. Una parte di questa gente che ha avuto una funzione manageriale importante non erano economisti, bensì ingegneri e avvocati”.
Nei cinquant’anni che corrono tra il 1914 e il 1964, la costruzione dell’apparato industriale e finanziario italiana avvenne dall’alto verso il basso e pochi uomini si trovarono a decidere di imprese e banche che diventavano sempre più grandi.
“Ci si concentra – ha proseguito – su rilievi che interessano un così sparuto gruppo di componenti la classe dirigente perché tutto ruotava intorno a quell’ambito lì. Alcuni li ho nominati, ma il più emblematico è Menichella. Proprio perché Stringher, sicuramente nel 1924 ma anche nel 1907, o nel 1918 è l’uomo più potente d’Italia: sul suo tavolo arriva tutto. Poi Menichella si può dire che lo supera o perlomeno si mette nella stessa situazione per il periodo successivo. Nella prima parte del suo impegno, lui è molto più giovane di Beneduce ed è lui quello che disegna queste istituzioni parallele: ne fa un certo numero, e si chiameranno appunto gli Enti Beneduce. Essi sono di vari tipi e sono ad esempio gli enti previdenziali e gli istituti nazionali di assicurazioni. Sono moltissimi, tutti fatti allo stesso modo con una burocrazia molto snella e ben pagata. Essi sono il tentativo riuscito di superare la burocrazia completamente con un comando gerarchico molto forte, in cui il presidente di queste istituzioni comanda, non presiede solo un consiglio di amministrazione”. Questi Enti Beneduce qualificano la struttura dell’industria e dell’amministrazione pubblica italiana dell’economia fino ai giorni nostri.
Beneduce muore nel 1936, si ammala e a questo punto lo sostituisce Menichella, che fa qualcosa che Beneduce non ha mai fatto: come Stringher arriva alla carica di Governatore della Banca d’Italia, e fin qui ha un’esperienza che gli assomiglia.
“Come fondatore e disegnatore di istituzioni – ha rimarcato De Cecco – non può esplicare tutte le sue possibilità e forse non ne aveva tanto il carattere, perché il momento magico del totalitarismo, del comando gerarchico affidato a pochi con un rapporto di fiducia tra il capo e tre o quattro persone è finito. C’è una democrazia parlamentare e le istituzioni non si possono inventare così come facevano a quel tempo negli anni ’30, o prima, non potevano fare come Beneduce che ha messo il proprio nome all’IRI”. L’IRI fu istituito il 24 gennaio 1933, inizialmente come ente pubblico temporaneo, per far fronte alla gravissima crisi bancaria e industriale dell’economia italiana di quegli anni”. Al centro della crisi vi erano le tre maggiori banche (Banca Commerciale Italiana, Banco di Roma, Credito Italiano): banche miste (sul modello tedesco) che svolgevano sia la funzione di banche commerciali che di banche d’investimento anche con partecipazione al capitale delle imprese. Come abbiamo visto tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento le banche miste avevano svolto un importante ruolo di sostegno allo sviluppo economico italiano, fronteggiando la scarsità di capitale di rischio del sistema imprenditoriale italiano”. Ma la crisi italiana, oltre a risentire dell’onda recessiva diffusasi dopo il crollo di Wall Street del 1929, presentava sue caratteristiche specifiche.
“La caduta produttiva era particolarmente accentuata nelle maggiori imprese, specie di settori – siderurgia e meccanica – che avevano ampliato considerevolmente investimenti e impianti, spinte anche dalle commesse pubbliche legate alle esigenze della Prima Guerra Mondiale”.
Una parte considerevole di queste imprese erano entrate in grave crisi e, con esse, le banche che le avevano sostenute inizialmente con finanziamenti e partecipazioni, fino ad assumerne talvolta il controllo, con fitto intreccio di interessi reciproci. Questa situazione, che aveva già portato nel 1921 alla caduta della Banca Italiana di Sconto, rischiava così di provocare il fallimento delle maggiori banche nazionali.
“L’IRI nacque con il compito di affrontare il problema del risanamento bancario e al tempo stesso di procedere alla riorganizzazione delle partecipazioni nelle imprese che erano detenute dalle banche. Da questo compito derivava la sua denominazione: Istituto per la Ricostruzione Industriale. Nella legge bancaria si vede con molta chiarezza l’idea dell’economia mista applicata, e cioè si vede il principio ispiratore che era comune sia a Beneduce che a Menichella. Esso consiste nel fatto che il risparmio non dovesse essere utilizzato sotto forma di depositi bancari (quelli che uno può ritirare quando oggi uno scrive gli assegni) per essere utilizzato negli investiti nell’industria. Per esempio, qui c’è una negazione del sistema della banca mista che invece aveva caratterizzato il periodo precedente”.
 

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