Home FixingFixing Il grande abbraccio tra l’artista italiano e l’attrice del Living Theatre

Il grande abbraccio tra l’artista italiano e l’attrice del Living Theatre

da Redazione

Alla VI Biennale internazionale di San Marino del 1967 diretta da Giulio Carlo Argan, Michelangelo Pistoletto portò “Autoritratto con Soutzka”, una velina dipinta su acciaio inox lucidato a specchio.

autoritratto con souzka

 

di Alessandro Carli

 

“C’è la luce, la materia l’uomo. La luce è sempre completata da se stessa, l’uomo dai suoi movimenti e la materia dalla sua massa. E anche se non s’incontrano mai si creano vicendevolmente un posto. l personaggi del quadro conquistati dalla luce si dirigono come una massa cieca, decifrando lo spazio che li conduce fino alla loro meta. Dal fondo della loro luminosità si allungano sulla superficie e ci attendono. All’inizio queste figure erano forse delle persone che facevano parte dello spazio quotidiano dell’artista, come ora lo siamo noi quando, spettatori, ci proiettiamo nella realtà del quadro. Potrebbe darsi che queste masse e questi movimenti fossero stati lentamente assorbiti dalla luce fino a raggiungere il culmine della loro vita. E là come drogati di luce, rimangono stesi alla fine della loro esistenza nel tempo. È ora il nostro turno di essere attirati nello spazio glaciale del suo spirito; uno spazio senza superficie, senza muri, senza separazioni, come se il suo spirito fosse solo un luogo dove si trovano le cose, come dice John Cage. Ma non ha forse significato dire che questi personaggi che vivevano nell’universo dell’artista sono stati presi in trappola da strani metodi di collage su fondo fotografico. In realtà adesso, privati dei loro movimenti quotidiani i suoi amici di un tempo potrebbero essere voi, me o Edipo: vaganti alla ricerca di se stessi. Quando sono partiti per andare incontro alle loro immagini, essi attraversa no la vita come tutti gli altri, ciechi nella luce del giorno. E per questo che si possono vedere, uomini e donne, davanti a queste superfici riflettenti, che si aggiustano la cravatta, il vestito, i capelli, che si ritoccano le labbra, ciechi davanti al quadro dell’artista come lo erano alcuni spettatori d’Atene davanti alle miserie di Edipo. Posso immaginarli mentre mangiano una mela e pensano alla cena che li attende, mentre con occhio distratto seguono il dramma che si svolge nell’arena. (…) In comune con la pop-art ha questa partecipazione impersonale e classica all’esistenza di ogni giorno per unificare l’uomo nella sua totalità. Come per la pop-art, la vita stessa è volgare; le banali notizie varie permettono il dialogo dell’uomo con se stesso. È per questo che l’artista ci pone direttamente nel suo quadro. Necessariamente noi giriamo nella sua luce con tutta la nostra momentanea solidità, ma siamo sempre noi che planiamo qui, sospesi senza peso su queste superfici luminose. E se alla fine del viaggio la nostra densità s’incontra con i personaggi assorbiti dalla luce, fuori del tempo, è noi stessi che noi vediamo”. Così Michael Sonnabend nella “Presentazione per Pistoletto” (Parigi, 1964). Già, Michelangelo Pistoletto. Il maestro dell’arte povera partecipò per ben quattro volte alla Biennale d’arte di San Marino, nel 1959, nel 1961 (dove portò “Uomo in attesa”), nel 1965 e nel 1967. Alla “VI Biennale internazionale d’arte contemporanea. Nuove tecniche d’immagine” del 1967 (15 luglio – 30 settembre 1967) diretta da Giulio Carlo Argan, presentò un’opera, “Autoritratto con Soutzka” (velina dipinta su acciaio inox lucidato a specchio, cm 230 x 120, foto di Paolo Bressano), già parte della collezione Sonnabend di Parigi. I soggetti del quadro specchiante sono l’artista stesso e Souzka Zeller, attrice del gruppo teatrale statunitense Living Theatre che Pistoletto aveva conosciuto in occasione di una performance del Living Theatre Piper Pluriclub di Torino nel marzo del 1967, pochi giorni dopo che il Maestro aveva realizzato nello steso locale la sua performance “La fine di Pistoletto”.

I quadri specchianti, si legge sul sito www.pistoletto.it, curato dalla Fondazione Pistoletto – Cittadellarte Biella, “costituiscono il fondamento dell’opera di Pistoletto, sia della sua successiva produzione e attività artistica, sia della riflessione teorica nella quale egli costantemente ad essi ritorna per approfondirne il significato e svilupparne le implicazioni. Le caratteristiche essenziali, che l’artista stesso individua in essi, sono principalmente: la dimensione del tempo, non soltanto rappresentato, ma realmente presente; l’inclusione nell’opera dello spettatore e dell’ambiente circostante, che ne fanno ‘l’autoritratto del mondo’; la congiunzione di coppie di opposte polarità (statico/dinamico, superficie/profondità, assoluto/relativo, eccetera), costituite e attivate dall’interazione tra l’immagine di natura fotografica e ciò che avviene nello spazio virtuale generato dalla superficie specchiante; la collocazione dei quadri specchianti non più ad altezza finestra, come tradizionalmente vengono appesi i quadri, bensì sul pavimento, fa sì che essi aprano un varco attraverso il quale l’ambiente in cui sono esposti si prolunga nello spazio virtuale dell’opera, una porta che mette in comunicazione arte e vita”.

I quadri specchianti vengono esposti per la prima volta nella personale di Pistoletto alla Galatea nell’aprile del 1963. Pochi giorni dopo l’inaugurazione si reca a Parigi, dove conosce la gallerista Ileana Sonnabend, che successivamente acquista in blocco l’intera mostra e rileva il contratto di Pistoletto con la Galatea.

Così il Maestro: “Mi rendevo conto che attorno a me non c’era alcun tipo di adesione e di interesse, anzi un certo nervosismo di rifiuto, soprattutto del gallerista stesso. Così sono andato a fare un viaggio a Parigi. Lì ho incontrato Beppe Romagnoni che mi ha parlato di una galleria dove si esponevano quadri strani e interessanti. Allora sono passato alla Galleria Sonnabend, ho chiesto di vedere questi quadri, in questo modo ho visto per la prima volta i quadri di Rauschenberg, di Jasper Johns, Resenquist e Lichtenstein, le sculture di Segal e Chamberlain. Mi hanno chiesto se ero un critico e ho riposto: ‘No, sono un’artista’. Alla domanda su che cosa facevo, ho mostrato il catalogo della Galatea e un quadro. Sono rimasti colpiti dal lavoro e sono venuti a Torino dove hanno acquistato tutta la mostra alla Galatea. Hanno rilevato il contratto con Tazzoli ed è iniziata una situazione estremamente importante per me: essere proiettato in una dimensione internazionale fuori dalla situazione esclusivamente torinese”.

 

BIENNALE ’67 DELLA REPUBBLICA DI SAN MARINO: LE POSIZIONI DELLA STAMPA ALLA MOSTRA

 

“Ormai è una consuetudine: ci siamo assunti il compito di riferire sulle posizioni della stampa circa le nostre Biennali ed anche questa volta siamo fedeli all’appuntamento. Come sempre, essendo l’Ente del Turismo l’organo promotore e facendo capo ad esso tutta l’organizzazione della Mostra, ci manterremo al di fuori della polemica, che si è puntualmente verificata con rinnovato impegno e crescente interesse ma che si è svolta in senso diverso da quello forse previsto. Dato l’indirizzo ‘tendenzioso’ della Rassegna infatti si poteva pensare ad un dibattito riguardante l’alternativa di una Biennale contenuta in un settore o aperta a tutti i linguaggi dell’arte contemporanea. Non che qualcuno non abbia disapprovato l’esclusivismo, a suo parere eccessivo, della Mostra, ma anche i dissenzienti si sono astenuti da una discussione sul principio, per addentrarsi nell’analisi concreta dei fatti così come si presentano. La crisi dell’Informale costituisce per tutti, ed era prevedibile, il punto chiave da cui ha inizio il discorso introduttivo sulle correnti cosiddette ‘Op’ e ‘Pop’ e sul loro superamento, sempre comunque legate alla personalità dei singoli artisti in esse impegnati, tanto che è apparso inevitabile non solo il paragone con le tre Mostre apertesi in Italia e recanti anch’esse in un modo o in un altro il tema dell’immagine – ‘il tempo dell’immagine’ a Bologna, ‘Lo spazio dell’immagine’ a Foligno, ‘Invenzione e coscienza nelle immagini’ a Milano – ma è sembrato anche utile precisare che i sottotitoli secondo i quali si è articolata la nostra Biennale risultano, come era ovvio, approssimativi, quasi ingiustificati poiché, rifuggendo ogni personalità, anche la più povera, dall’essere catalogata, non esistono limiti precisi fra le varie esperienze. La natura stessa della Mostra ha stimolato i giornalisti specializzati ad una indagine dei rapporti arte-industria, tecnica-tecnologia e qui le varie strade cominciano a divergere; ognuno imbocca la sua. Chi assume infatti come un valore positivo la ‘faziosità’ (in senso critico) di questa Biennale vede negli oggetti esposti la protesta dell’uomo che rivendica una sua autonomia rispetto ai modelli alienanti offerti dalla produzione industriale, di cui tuttavia con entusiasmo assume i modi operativi; altri invece lamentano che i risultati non corrispondono alle intenzioni, rimanendo solo un’affascinante speranza la possibilità teorica che, vinta la tecnologia, nuovi linguaggi possano essere offerti dalla tecnica alla libera immaginazione. l quali linguaggi sarebbero ancora soffocati da una scoperta meccanicità, dalla ricerca dello stravagante. Del resto, continuano gli obiettori, la situazione è quella già nota, la polemica già scontata, alcune opere già viste, sicché la Mostra si risolve non in proposte nuove ma in riproposte; riproposto anche un certo modo, solo da alcuni condiviso, di concepire il Critico, non più come giudicante dall’esterno, ma come teorico impegnato. Nonostante dissensi così fondamentali, per qualche artista risulta chiara una convergenza di opinioni positive; è il caso di Castellani, per il quale si è anche osservato tuttavia con garbata ironia che l’aspetto metafisica della sua proposta spaziale può dispiacere a qualche critico e il riferimento non era neppure tanto evasivo anche se corretto; omaggio quasi generale a Genovés ma sorpresa quasi generale per la sua premiazione che contraddirebbe il titolo della mostra. Fra i ‘capiscuola’ Vasarely – gli altri due erano Dorazio e Liechtenstein – ha riscosso i maggiori consensi, la ‘forma’ di Mari le maggiori perplessità. Quanto agli altri, è proprio il caso del proverbiale ‘tot capita tot sententia’: chi apprezza Morgan deplora ovviamente che la giuria dei premi lo abbia dimenticato preferendogli Marcheggiani, chi è interessato alle ricerche pop lamenta che manchino del tutto o siano mal rappresentati artisti figuranti in catalogo; se presenti, essi avrebbero ‘fatto apparire fragili o infanti li tante di queste ricerche ottiche’. La Mostra si arricchiva di due aspetti nuovi: la linea evolutiva dell’auto italiana e i films della sezione speciale; sul primo argomento hanno scritto molti giornali sportivi, sono apparsi molti trafiletti di colore ma anche interventi orientati in senso critico; fra questi è emerso il sospetto che si fosse ricorsi all’auto come espediente pubblicitario; qualche altro invece ha condiviso l’iniziativa, esprimendo solo il proprio rammarico per la mancanza, nelle autovetture, delle ruote, indispensabili a definirne l’immagine. Tale settore è sembrato comunque utile ad un confronto fra arte pura e arte applicata”.

 

L’articolo, firmato da Carla Nicolini, è stato pubblicato nel secondo “Notiziario a cura dell’Ente Governativo per il Turismo, Sport, Spettacolo della Repubblica di San Marino” del luglio 1967. Si ringrazia la Biblioteca di Stato per averci concesso la pubblicazione.

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