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San Marino, la natività premonitrice di Sebastiano Conca

da Redazione

Lavorò col Vanvitelli e Carlo III° di Borbone. La croce tra le braccia, lo sguardo rassegnato dei due angeli custodi.

Sebastiano Conca

 

di Alessandro Carli

 

“Nelle private Gallerie, e palagi di molti Signori in Roma si veggono opere sue, e molte ne sono andate altrove, e massimamente nei Paesi Oltramontani, e più nell’Inghilterra” (Bernardo De Dominici, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti napoletani, 1742-1745). “Fu chiamato in Spagna dal re Filippo V, che lo voleva appresso di sé; ma egli per qualunque grandiosa promessa non seppe allora indursi giammai ad abbandonar Roma, cui già riputava come sua patria, e dove trattato da ogni rango di persone con sommo onore, riceveva da qualunque luogo, e da più Sovrani onorifiche commissioni” (Francesco Moücke, Museo fiorentino, 1762).

“Quale si consacra all’esercizio delle buone Arti non deve concedere tanta parte al solo studio del Disegno, che gli ritardi, o gli tolga il tempo d’applicarsi di buon’ora al dipingere, e al colorire […] Che ella è bella, e sicura cosa condurre innanzi le tavole i cartoni finiti, e sel fecero i primi nell’arte: e basta l’esempio di Giulio, e del Sanzio per consacrarne la prattica: ma non si vuole coll’andar presso ai cartoni, che resti in esso il genio esaurito, e nulla siavi d’invenzione, e d’inspirazione nel dipinto, tanto che questo torni freddo, e si paja piuttosto, che il Pittore copj, di quello che crei, ed inventi” scrisse Sebastiano Conca, nato a Gaeta nel 1680. Chiamato anche “Il cavaliere” era il maggiore di dieci fratelli. Il papà Erasmo era dedito al commercio e il secondogenito Don Nicolò fu arcidiacono della cattedrale di Gaeta. Sebastiano frequentò per oltre 15 anni la scuola napoletana di Francesco Solimena. Dal 1706 si trasferì a Roma col fratello Giovanni dove si affiancò a Carlo Maratta e svolse una proficua attività di affrescatore e di artista di altari fin oltre il 1750. A contatto con quest’ultimo, il suo stile artistico esuberante si moderò parzialmente. A Roma, patrocinato dal cardinale Ottoboni venne presentato a papa Clemente XI che gli assegnò l’affresco raffigurante Geremia nella basilica di San Giovanni in Laterano. Per il dipinto fu ricompensato dal papa col titolo di cavaliere e dal cardinale con una croce eseguiti per i benedettini di Aversa (1761) e le Storie di San Francesco da Paola, eseguite tra il 1762 e il 1763 per i Frati Minori del Santuario di Santa Maria di Pozzano a Castellammare. Con decreto regio fu elevato al rango di nobile nel 1757. Le ragioni del suo successo si possono riconoscere nelle sue grandi capacità di mediare le diverse componenti artistiche del secolo: quella scenografia, magniloquente e grandiosa, appresa negli anni col Solimena, e quella del classicismo riformatore del Maratta.

Grazie all’aiuto del Vanvitelli, ricevette onori e incarichi da Carlo III° di Borbone e dai più potenti ordini religiosi partenopei.

Conca ha lasciato circa 1200 pezzi. Una, piccola di dimensioni ma grande per capacità di racconto, appartiene alla collezione di Giuseppe Arzilli, e che ci introduce alle festività natalizie.

Un Bambin Gesù che già porta il simbolo della croce e che quindi conosce già il suo destino. Vicino a lui due angeli con due espressioni diametralmente opposte: una allegra e una triste: nei loro occhi l’immagine del futuro sacrificio.

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