Una danza che si libera della parola, criptica e arbitraria, che dilata il tempo e abbandona i limiti spaziali del detto.
di Alessandro Carli
RIMINI – Difficile, dopo il bagliore stratosferico e bellissimo che ha caratterizzato tutto il “Macbettu” in sardo, riuscire a tornare in scena per un regista come Alessandro Serra. Eppure “L’ombra della sera”, lo spettacolo prodotto da Teatropersona e diretto sempre da Serra (che dimostra di avere spalle larghe e di saper osare), risulta ancora una volta una sfida vinta, nonostante la materia di studio, quell’Alberto Giacometti, uno tra gli artisti più rappresentativi del Novecento, sia ancora più complicata rispetto all’approccio a Shakespeare. Se in qualche modo “Macbeth” è un testo teatrale, “L’ombra della sera” si muove da un oggetto metafisico e impalpabile, l’ombra appunto, che qui diventa immagine definita.
Lo spettacolo, non tanto un monologo ma piuttosto un assolo, è stato affidato a Chiara Michelini che sulle assi del Teatro degli Atti diventa (o si trasforma) in un occhio aperto sulla stanza della creatività: il testo scenico, gestuale e non verbale (in fondo, è uno spettacolo di danza di 55 minuti), è un tessuto di indagine acuta e di grande impatto. Perché se sino a ieri Alberto Giacometti veniva affrontato per la matericità delle sue opere, il duo Serra-Michelini si sofferma sulla sua proiezione degli attimi di cui l’artista si toglie gli occhiali e dialoga, ossimoricamente senza parlare, con i propri fantasmi.
Una danza che si libera della parola, criptica e arbitraria, che dilata il tempo e abbandona i limiti spaziali del detto: sul palco appare un monolampadario (un filo con una lampadina), un elemento totemistico che diventa oggetto centrale, specchio su cui riflettere (e far riflettere) l’attesa dell’essenzialità.