Tra le numerose cause della sua bellezza, questa è quella principale. Si giocano tutto in un palpito: chiedetelo a Taro, Cartier Bresson o Adams.
di Simona Bisacchi Pironi
Numerose sono le cause del prodigioso fascino della fotografia.
Trattiene in sé un ricordo. Rappresenta la realtà. Racconta luoghi e popoli che mai si incontrerebbero dal vivo. Informa. Rallegra. Fa riflettere. Ma tra queste numerose cause di bellezza, ce n’è una che la rende unica: il tempo.
Ogni scatto cattura un istante, un unico secondo nello scorrere perpetuo degli anni. Eppure quel secondo, quell’istante, può raccontare un’intera epoca.
La pittura ha bisogno di tempo. La scrittura ha bisogno di pagine. Ma la fotografia si gioca tutto in un palpito.
“Noi fotografi abbiamo sempre a che fare con cose che svaniscono di continuo, e quando sono svanite non c’è espediente che possa farle ritornare. Non possiamo sviluppare e stampare un ricordo”, questo dichiarava il fotografo francese Henri Cartier-Bresson (1908-2004), un poeta per immagini, uno dei più grandi del Novecento, tanto da essere definito “lo sguardo del secolo”. E dichiarava anche che le persone in grado di vedere sono rare quanto quelle capaci di ascoltare. E che la sensibilità non si insegna. E che un buon fotografo deve saper allineare il cuore, la mente e l’occhio. Alla ricerca dell’eternità in un istante lungo un respiro. L’infinito a volte è racchiuso nella vita di tutti i giorni, che sembra tutta uguale, quasi monotona, finché non la coglie un occhio come quello del fotografo argentino Pedro Luis Raota (1934-1986), che racconta una partita di pallone tra due ragazzini come se fosse il più epico dei gesti atletici. E racconta di una vecchia signora che appoggia la stampella al muro e suona il violino a due bambini. Un Caravaggio con la macchina fotografica, che ha reso eterna la quotidianità.
E c’è chi con quel piccolo scatto ha voluto riassumere un periodo storico.
La fotografa di origine tedesca Gerda Taro (1910-1937) – “La ragazza con la Leica” di Helena Janeczek, vincitrice del Premio Strega 2018 – ha immortalato la guerra civile spagnola, perdendo lì la vita. Entusiasta, avventurosa, ha raccontato al mondo gli addestramenti delle miliziane sulla spiaggia di Barcellona, i bombardamenti dell’aviazione nazionalista, e se n’è andata violentemente, lasciando solo il suo compagno Robert Capa (1913-1954), celebre fotografo di conflitti in giro per il mondo, che dichiarò “Il più intenso desiderio di un reporter di guerra è la disoccupazione”.
Il fotografo è un artista che rischia di essere sempre spiazzato dal tempo, sorpreso a tradimento. Ma quando si fa trovare preparato, pronto, la sua macchina cattura quello che sarebbe passato inosservato, quello che sarebbe stato rinnegato o semplicemente dimenticato. Il fotografo non permette questo. Non permette che la storia sia l’opinione del più forte. Non permette che la quotidianità svanisca nella banalità. Non permette che la terra giri senza raccontare chi e cosa la abita.
Il fotografo statunitense Ansel Adams raccontava che “Non fai solo una fotografia con una macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito e le persone che hai amato”. Hai un istante per farlo.