L’opera, datata 1954, è in esposizione all’interno del nuovo Museo. La storia dell’artista veneziano e quella del dipinto, acquistato dalla Repubblica a inizio degli anni Ottanta dopo una retrospettiva.
di Alessandro Carli
“Certamente la più importante tra le opere conservate a San Marino è quella di Emilio Vedova del 1954, ‘Foresta Vergine. Dal Diario del Brasile’. Un olio su tela del 1958, più o meno delle stesse dimensioni, è stato battuto da Christie’s, la famosa casa d’aste londinese, a 910 mila dollari”. Risale più o mano a 10 anni questo stralcio di articolo che avevamo pubblicato su San Marino Fixing. Oggi l’opera, assieme a molte altre, rappresenta il corpus del “tesoro” custodito nella Galleria di arte Contemporanea della Repubblica.
Per le persone che hanno avuto la sensibilità di partecipare agli incontri di “Intorno all’Opera – da Achille Perilli a Maurizio Cattelan”, organizzati qualche anno fa, ricorderà di certo le parole di Rita Canarezza che, per l’occasione, prese in esame il grande artista italiano, divenuto figura di primo piano nel panorama artistico del dopoguerra e negli anni cinquanta, insieme ad Alberto Burri, Lucio Fontana, Piero Manzoni, che ha rappresentato l’Informale italiano ed europeo parallelamente all’Espressionismo Astratto americano di Jackson Pollock, Willem De Kooning e Franz Kline.
La Repubblica di San Marino, queste la presentazione dell’evento di cui sopra, “possiede un’importante opera di Emilio Vedova acquisita al termine della retrospettiva a lui dedicata nel 1981 ‘Vedova Compresenze 1946-1981’, curata da Giulio Carlo Argan e Maurizio Calvesi presso il Palazzo dei Congressi. L’opera, ‘Foresta vergine, Dal diario del Brasile’, 1954 (…) è caratterizzata da una potenza espressiva e allo stesso tempo travolgente e distante ed è stata creata durante un periodo di residenza in Brasile che Vedova aveva vinto grazie a un premio ottenuto in occasione della sua partecipazione alla II Biennale di San Paolo, nel 1954, la seconda più vecchia Biennale di Arte Contemporanea al mondo, dopo la Biennale di Venezia dalla quale si è ispirata e fra le più rilevanti manifestazioni artistiche a livello internazionale negli anni Settanta. La ricerca pittorica di Emilio Vedova è un riferimento imprescindibile, non solo sul piano estetico e linguistico, ma più in generale rispetto alla concezione del ruolo dell’artista all’interno della società civile. Antifascista, Vedova partecipa alla resistenza e dal 1946 è in prima linea nel processo di rinnovamento che da una parte riallaccia le esperienze artistiche internazionali alle vicende estetiche italiane dall’altra indirizza la pittura verso una relazione diretta con il reale, attraverso una posizione di militanza e denuncia, che vede nell’azione artistica uno strumento di presa di coscienza del dramma del presente.
Il quadro si situa in un momento storicamente importante nella ricerca dell’artista, in quanto documenta i primi esperimenti in cui Vedova rielabora il proprio linguaggio pittorico, in connessione con lo sviluppo della cultura artistica informale, basata su pennellate libere, potenti, espressive. La superficie della tela è, infatti, interamente caratterizzata da una pittura-gesto a pennellata medio-larga, tesa, forte, vibrante e veloce. Graffiante e ritmata, ma priva di ripetizioni sistematiche fisse. Non è riconoscibile alcuna iconografia riconducibile alla rappresentazione del reale, nessuna figuratività. Questo segno gestuale è l’unico elemento su cui l’intera opera è costruita. La foresta diventa così un elemento energetico puro, libero da riferimenti descrittivi e rielaborato dalla forza creativa dell’artista. Il lavoro allude a temi ricorrenti nell’opera di Vedova: dalla necessità civile ed etica dell’esperienza dell’arte, testimoniata attraverso le potenti e distinte pennellate, ai riferimenti all’imponente vegetazione della misteriosa Foresta Amazzonica. Elementi questi che rendendo la tela una delle più significative della produzione dell’artista negli anni Cinquanta.
I SUOI PRIMI PASSI
Opera inizialmente in contatto con il gruppo di “Corrente” (1942-43), in cui collaborano anche Renato Guttuso e Renato Birolli. Partecipa tra il 1944 e il 1945 alla Resistenza a Roma e in seguito sulle colline piemontesi, dove nel corso di un rastrellamento rimane ferito. Nel 1946, a Milano, è tra i firmatari del manifesto “Oltre Guernica”. Nello stesso anno a Venezia è tra i fondatori della “Nuova Secessione Italiana” poi “Fronte Nuovo delle Arti”. In questi stessi anni realizza una serie di pastelli, in cui riversa il suo stato d’animo turbato dall’esperienza della guerra: in opere come “Assalto alle prigioni” e “Incendio del villaggio” inizia la deformazione dei soggetti rappresentati, che è qui ancora in una fase di transizione ma che poi maturerà fino ad arrivare alla formulazione del linguaggio astratto.
VEDOVA NEGLI ANNI 50
Subito dopo la fine della II Guerra Mondiale Vedova realizza i suoi celebri cicli di opere: “Scontro di situazioni”, “Ciclo della Protesta”, “Cicli della Natura”. Nel 1951 partecipa alla I Biennale di San Paolo, vincendo un premio che gli permetterà di trascorrere tre mesi in Brasile la cui estrema e difficile realtà lo colpirà profondamente, oltre che la natura maestosa. Sempre nel ’51, viene organizzata e curata da Rodolfo Pallucchini la sua prima mostra personale all’estero, presso la Galleria Viviano di New York. In questa occasione vengono esposte molte delle cosiddette “geometrie nere”: opere in cui le scelte cromatiche si riducono al bianco e nero e in cui Vedova si concentra quasi ossessivamente su costruzioni geometriche che generano labirinti, reticoli, strutture che imprigionano la figura umana. Questa attenzione per la geometria verrà poi progressivamente abbandonata, e l’artista si concentrerà invece sul segno e sul gesto che lo compie.
Successivamente, entra a far parte del Gruppo degli Otto, passando dal primo neocubismo delle “geometrie nere” a una pittura le cui tematiche politico-esistenziali hanno trovato via via espressione in una gestualità romanticamente automatica e astratta, motivo per il quale è avvicinato alle poetiche dell’Informale. I sentimenti di protesta, paura e tensione sembrano avere pura traslazione pittorica, senza intermediazioni di alcun genere. Dal 1959 al 1962 i suoi quadri escono dai confini tradizionali: a Venezia si adattano agli angoli tra parete e pavimento e a Roma si scompongono in più elementi, quasi per disorientare. Nel 1960 riceve il Gran Premio per la pittura. Nel 1961 collabora con Luigi Nono per la scenografie, i costumi e le proiezioni dell’opera “Intolleranza ’60”, abbattendo i confini tra le arti, “in una circolare di piani semoventi proiettanti immagini, suoni, azioni, rivoluzionando tutti i rapporti di ieri in materia di teatro”.
Nel 2009 l’amico Renzo Piano, in collaborazione con la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, recupera una sala dei locali dei Magazzini del Sale per creare uno spazio espositivo delle opere dell’artista, le quali sono prelevate dal magazzino ed esposte in perenne movimento su dei binari e sollevate da argani in grado di compiere anche rotazioni. Gli stessi magazzini furono utilizzati dall’artista come studio e nella prima metà degli anni ’70 furono salvati dalla demolizione su iniziativa del Comune, alla quale Vedova si oppose strenuamente difendendone il valore storico-culturale.