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Cuba, il posto dove i pesci vengono chiamati “fratelli”

da Redazione

Ernest Hemingway lo fa dire a Santiago nel libro “Il vecchio e il mare”. Dall’oceano una riflessione: impariamo a fare con quello che abbiamo.

 

di Simona Bisacchi Pironi

 

C’è una lotta nel mare di Cuba.

Una lotta d’inchiostro. Di quel vecchio solo, con la sua misera barca, contro un pesce che è tutto il suo futuro.

C’è una lotta che Hemingway ha raccontato nel 1952 ne “Il vecchio e il mare” e si perpetua nei decenni, e diventa presente come è sempre presente la lotta dell’uomo che forgia il suo destino.

Dopo ottantaquattro giorni senza riuscire a pescare nulla, abbocca un pesce enorme, più grande della barca a vela del vecchio Santiago.

Per tre giorni l’uomo cerca di conquistare la sua sopravvivenza, con tutta la tenacia e la volontà di chi sa che l’impresa è quasi impossibile ma deve essere portata avanti.

La sua vita è appesa all’amo del pesce, che lo trascina per l’oceano, fino ad arrendersi a quel vecchio, alla sua costanza, alla sua pietà: “Vorrei poter dar da mangiare al pesce, pensò. È mio fratello”.

Tre giorni di lotta in mare per riuscire a portare a casa un pesce, che poi verrà divorato dagli squali nel viaggio di ritorno.

È una lotta impari quella che si svolge a largo di Cuba.

Eppure non è una triste epopea quella di Santiago, perché la vecchiaia indebolisce il corpo, ma non lascia sprovveduti davanti alle difficoltà del viaggio.

È il viaggio di chi conosce il proprio modo di vivere, il proprio lavoro, e sa che “La pesca mi uccide proprio come mi dà da vivere”.

È il viaggio di chi si accorge di essere solo in un mare immenso, ma sa che non può arrendersi, perché “È stupido non sperare. E credo che sia peccato”.

La vecchiaia, e tutte le conoscenze che gli ha portato, le cicatrici da cui sa che può guarire, le esperienze che si condensano nel pensiero e nelle mani per poter affrontare ancora un’altra prova sono le armi con cui Santiago fronteggia l’oceano, il pesce, e il ritorno, perché “Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai”.

Il mare non inghiotte Santiago. E non inghiotte nemmeno la carcassa del pesce, che arriva con lui sulla riva a testimoniare un’impresa che ha lasciato il vecchio derelitto ma non vinto, perché “L’uomo non è fatto per la sconfitta. Un uomo può essere distrutto, ma non sconfitto”. Non è necessario tutto il pesce, basta quella carcassa per testimoniare la dignità della sua lotta. Per riconquistare il rispetto di quelli che ogni giorno riescono a pescare senza così tanta fatica. E per permettere al giovane Santiago di tornare in barca con lui.

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