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Viaggio alla scoperta delle grandi maioliche italiane

da Redazione

Al Museo di Stato, sino alla fine di maggio, “The Big Collection”. Carlo Barulli: “I dipinti su ceramica sono forme d’arte di altissima qualità”.

Barulli Carlo Elena

 

di Alessandro Carli

 

“I dipinti su maioliche sono forme d’arte altissima e particolarmente difficili da creare. Mi spiego: quando lavori su una tela, si può ritoccare il quadro con il pennello e il colore sino all’ultimo momento. Con la ceramica è diverso: una volta ‘fatta’, non è più modificabile. Anche per questo motivo sono stati buttati via molti pezzi” (cosa che accade anche oggi, ndr).

Potrebbe bastare questo “piccolo” (ed è chiaramente un ossimoro) dettaglio raccontato da Carlo Barulli per provare a intuire l’importanza artistica dei dipinti su ceramica. Una parte interessante e corposa – oltre 100 pezzi – rappresentano il corpus di “The Big Collection- Cento Maioliche Istoriate fra Otto e Novecento”, la mostra che è stata inaugurata il 16 febbraio all’interno del Museo di Stato – Palazzo Pergami-Belluzzi e visitabile, sino al 28 maggio, gratuitamente.

L’esposizione dei manufatti, che gode del patrocinio della Segreteria di Stato Istruzione e Cultura e che proviene dalla collezione privata della famiglia sammarinese (Elena Barulli si è occupata personalmente dell’allestimento), è un viaggio nella grande arte italiana.

Piatti, anfore, fiasche, acquasantiere, rinfrescatoi, alzate, vasi, vassoi e candelabri finemente decorati dagli “stilisti” della ceramica come ad esempio le manifatture di Vincenzo Molaroni a Pesaro, Achille Farina a Faenza, Angelo Minghetti a Bologna, Ulisse Cantagalli a Firenze, i Ginori a Doccia e Alfredo Santarelli a Gualdo Tadino.

“Ho sempre avuto la passione per la ceramica – racconta Carlo Barulli – e da tantissimi anni la colleziono. La maggior parte dei pezzi è stata acquistata da antiquari, commercianti, collezionisti e privati”. Da buon “babbo”, Barulli non si sbilancia sul “pezzo” (o figlio) preferito della collezione in esposizione. Più facile chiedergli quali siano i pezzi artisticamente più pregiati. “Tra le oltre 100 maioliche che raccontano la mostra, almeno10 opere che risalgono all’Ottocento sono sicuramente i capolavori più preziosi e quelli a cui tengo di più” spiega.

E capolavori, lo sono davvero. Anche per la storia che si portano dentro. “Un ‘Minghetti’ lo acquistai in Francia nel 1998 – prosegue -. Lo tenni qualche anno in negozio (‘Senzatempo antiquariato’, ndr) e poi venne venduto. Lo ritrovai casualmente nel 2013 e lo riacquistai per inserirlo nella collezione”.

Non si può poi rimanere indifferenti davanti alle opere di Ulisse Cantagalli: un carnevale di colori saturi e di perfezione nel disegno. Un artista celebrato in tutto il mondo. All’esposizione industriale di Milano del 1881 la Manifattura Cantagalli gestita dai figli di Giuseppe (Ulisse e Romeo), rivelandosi tra le maggiori per la fabbricazione di maioliche da ornamento, venne premiata con medaglia d’oro “per il merito delle molteplici riproduzioni di buono stile, nonché per l’importante tentativo di risolvere il problema di produrre oggetti con carattere artistico a prezzi talmente miti da renderli accessibili alla generalità dei compratori”. Altre onorificenze ebbe in seguito alle mostre di Anversa, Parigi e Londra.

“I primi contatti per allestire questa mostra li ho presi nel 2003 – ricorda – . E’ stata ‘lunga’ ma la cosa importante è che siamo riusciti a realizzarla”. Sorride Carlo Barulli e poi ci accompagna, come un novello Virgilio, alla scoperta dei “soggetti” e delle tecniche. “La maggior parte delle manifatture lavoravano molto sui miti classici e sui volti – sottolinea Barulli -. Alfredo Santarelli invece si distingueva per la tecnica ‘a lustro’, molto difficile, e che portava ad ottenere colori particolarmente brillanti”. Impossibile immaginare la loro importanza.

“Nell’Ottocento, nell’epoca del Grand Tour, un lungo viaggio nell’Europa continentale effettuato dai ricchi giovani dell’aristocrazia europea e destinato a perfezionare il loro sapere con partenza e arrivo in una medesima città, accadeva che i ‘viaggiatori’ acquistassero alcuni pezzi. Chi poteva inoltre faceva ‘personalizzare’ piatti o anfore con lo stemma della propria casata”.

In mostra il visitatore può ammirare un piatto che raffigura grandi frammenti mitologici: “Il ratto delle Sabine”, ma anche “Danae e la pioggia dorata” da cui, si narra, nacque Perseo.

Colori e sfumature, tratti precisi, che ancora sanno emozionare.

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