Home FixingFixing “Come il calcio, anche l’azienda ha bisogno di un capitano”

“Come il calcio, anche l’azienda ha bisogno di un capitano”

da Redazione

Piero Tonelli, Presidente dell’omonimo Gruppo, tra sport, legno, carta e calzature. Per uscire dalla grande crisi “abbiamo investito in nuove tecnologie e in ricerca e sviluppo”.

Tonelli Piero 7

 

di Alessandro Carli

 

“Alla fine degli anni Trenta mio babbo Italo era un ragazzo poco più che maggiorenne. Tutte le mattine prendeva la sua bicicletta e da Serravalle andava a Rimini: lavorava al Mobilificio Babbi. In casa mia si è sempre vissuto di legno e di lavoro”. Recuperare la storia dell’azienda Tonelli, di cui oggi Piero Tonelli è Presidente, è raccontare anche l’evoluzione imprenditoriale, economica e sociale di un Paese, San Marino, che negli anni Quaranta aveva ancora un’impronta profondamente agricola, Anni in cui le infrastrutture erano quasi inesistenti, e le prime imprese artigianali iniziavano a nascere.

“Nel 1942 mio babbo lascia la Babbi, si sposa con mia madre e grazie all’aiuto di una cugina, che gli prestò mille lire, si mise in proprio”. Alla fine degli anni Quaranta l’azienda, una falegnameria, contava già circa 40 dipendenti. “Ogni falegname aveva la propria specializzazione: c’era chi piallava, chi impiallicciava, chi verniciava”. Ma gli anni del dopoguerra portarono con sé anche un fenomeno sociale ben conosciuto anche sul Titano: l’emigrazione. La falegnameria Tonelli aveva tanti professionisti ma nel breve volgere di qualche anno lasciarono il Monte per andare negli Stati Uniti. “Senza manodopera, mio babbo si trovò in seria difficoltà e chiuse il mobilificio”. Ma gli anni di gavetta a Rimini, messi idealmente a sistema con quel cromosoma forse non ancora studiato dalla medicina ma che si chiama “guizzo dell’imprenditore”, lo spinse verso un nuovo progetto. O meglio, su nuovi “territori”. Non parliamo (ancora) di quelli geografici bensì di quelli legati alle materie. “All’inizio degli anni Cinquanta si mise nel commercio di legnami e compensati. Grazie all’amicizia e all’aiuto di una famiglia riminese, i Voltolini – conosciuti durante la guerra in quanto scapparono da Rimini per rifugiarsi sul Titano, più precisamente a casa nostra -, venne creata una nuova società”. Nel 1963, la grande intuizione: la carta a nido d’ape. “Fu inventata negli Stati Uniti come struttura da impiegare nel settore aeronautico: si tratta, in estrema sintesi, di un pannello rigido, resistente e molto leggero. La sua applicazione nel comparto dei mobili è stata molto rapida in Europa e consentiva la realizzazione di un mobile o di una porta senza dover impiegare il legno massiccio”.

Non contento, il signor Italo ebbe una seconda intuizione. “Siccome non voleva fare quello che già facevano gli altri, si inventò il suo ‘nido d’ape’, non di forma esagonale bensì rettangolare”. Il nido d’ape rettangolare, precisa il Presidente, “ha un peso superiore rispetto a quello esagonale”. Questa “variazione” piacque. Chiunque, a questo punto, si sarebbe accontentato. Ma non Italo, che decise di dotare questi ‘nidi’ di un apparato di ventilazione. “Sono tutti forati e ogni cella è in comunicazione con le altre per permettere la fuoriuscita del vapore nella pressatura a caldo. La ventilazione al 100% rende il pannello asciutto ed evita lo scoppio del tamburato”.

Come detto, in casa Tonelli il legno e il lavoro sono sempre stati presenti.

Anche per Piero. “Nel 1965, una volta preso il diploma di ragioniere al Valturio di Rimini, sono entrato in azienda. In realtà già lavoravo, ma solamente in estate assieme a mio fratello Salvatore. Oltre a visitare i clienti, scaricavo i camion”.

Proprio nell’anno in cui i Voltolini uscirono dall’azienda: decisero di ritirarsi in quanto avevano visto che Italo ed i suoi figli erano in grado di proseguire da soli e mandare avanti l’azienda.

Oggi il Gruppo impiega circa 60 persone a San Marino, 25 in Francia e circa 10 in Veneto. Eppure anche il Gruppo Tonelli ha dovuto affrontare e subire la grande crisi iniziata nel 2008. “Ha inciso pesantemente in quanto siamo fornitori delle aziende che lavorano nel settore dei mobili. Il mercato in Italia è calato di oltre 50 punti percentuali, e le ripercussioni sul nostro fatturato si sono sentite pesantemente”.

Ma nel DNA di Piero scorre quel cromosoma che ha permesso a suo padre di crescere. “Dopo i primi anni in cui si è pensato a tagliare i costi interni, abbiamo deciso di investire in nuove tecnologie e nella ricerca e sviluppo. Nel 2013, forse per noi l’anno peggiore, abbiamo messo in campo lo sforzo maggiore”. Il Gruppo è passato attraverso una capillare riorganizzazione aziendale. “L’anno successivo abbiamo iniziato a raccogliere i primi frutti”.

Il Presidente fa un salto all’indietro. “All’inizio del Duemila abbiamo rilevato una partecipazione in un’azienda vicino a San Mauro Pascoli, precisamente a Fiumicino di Gatteo, che si occupa di semilavorati per le calzature e che impiega circa 140 persone. Noi siamo esecutori dei desideri dei designer e degli stilisti: interpretiamo quello che vogliono. Realizziamo e diamo una forma materica alle loro idee”.

Legno e lavoro, come detto. Ma nella vita di Piero c’è spazio anche per lo sport. “Nel 1956 a Serravalle c’era un vecchio campo da calcio in cui don Peppino faceva giocare i ragazzini. Mio fratello Salvatore lo avvicinò e gli disse: ‘Don Peppino, fai giocare anche mio fratello Piero, è bravo’. Giocai nella Juvenes, poi anche nella Serenissima. Mi alternavo tra la difesa e la mediana. Qualche squadra più blasonata mi aveva notato ma i miei genitori mi dissero: ‘prima la scuola’. E così fu”. Ma dal calcio, il Presidente, qualcosa ha mutuato. “Come una squadra ha il suo capitano, così lo deve avere un’azienda. Nello sport come nel lavoro, ci vogliono disciplina e ordine, e i ruoli devono essere ben definiti”.

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