Home FixingFixing Due gabbiani e due baffi: il mare di Emilio Salgari

Due gabbiani e due baffi: il mare di Emilio Salgari

da Redazione

Esattamente 60 centesimi: è questo il valore del francobollo dedicato al padre di Yanez. Lo usi per spedire una cartolina, senza sapere che lì dentro c’è la Malesia di Sandokan.

 

di Simona Bisacchi Pironi

 

È solo un francobollo da 60 centesimi. Di quelli che usi per spedire una cartolina.

C’è un viso disegnato. Un uomo di un altro secolo. Colpiscono subito i folti baffi. Ma ancora di più colpiscono gli occhi fieri e sognanti, puntati verso l’alto, a scrutare un mondo che solo lui riesce a vedere così, ma che in tutti i modi ha cercato di raccontarci. Due gabbiani in volo, un mare agitato e un antico veliero illustrano quel mondo sul francobollo dedicato al genio di Emilio Salgari, per i cento anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1911.

L’antieroe capace di creare eroi.

L’uomo costantemente indebitato che scriveva come un forsennato, per onorare i pagamenti.

L’uomo che morì suicida, in un boschetto vicino a casa.

Quell’uomo era lo stesso che entrava in una biblioteca civica e si ritrovava a vagare tra i serpenti e le paludi della giungla nera. A viaggiare verso Labuan, insieme a Yanez de Gomera e alla sua ennesima sigaretta.

Salgari scrutava un atlante geografico e trovava il mondo. Ma non quello che avremmo trovato tutti. No. Lui trovava l’India di Tremal-Naik. La foce del grande Gange fitta di misteri sanguinosi. Nelle terre emerse di un mappamondo, Salgari scopriva la Malesia di Sandokan, re sconfitto di un regno del Borneo, che diventa pirata per vendetta e per amore.

C’è chi legge tanto, studia, si documenta e diventa un intellettuale.

E c’è chi apre un’enciclopedia e ci trova l’avventura.

Salgari non inventa un universo fantastico. Plasma luoghi esotici e bizzarri. Forgia eroi, animi indomiti, sentimenti prepotenti, vendette che non possono arrendersi nemmeno davanti all’amore, odi selvaggi, battaglie valorose.

Quella salgariana è un’epica che si spoglia degli dei e si veste di un romanticismo insostenibile, incessante, dove ogni gesto è solenne, ogni scelta definitiva, ogni parola un giuramento.

Questo uomo piccolo, dal destino atroce, è capace di appoggiare i gomiti su una scrivania e creare i Caraibi. E nemmeno per un momento hai il sospetto che quella terra non esista e che non sia esattamente così, come lui te la descrive. Mentre solchi l’oceano sulla Folgore del Corsaro Nero, o mentre cammini nella foresta vergine dietro a “compare sacco di carbone” Moko, il mondo è un luogo vasto, pieno di peripezie pericolose e necessarie, pieno di sorprese, e di decisioni che mai avresti voluto prendere.

E “tuoni d’Amburgo!” – come impreca Wan Stiller – quando il Corsaro Nero lascia Honorata, l’amore della sua vita, su quella scialuppa in mezzo all’oceano, solo per tener fede a una promessa fatta a se stesso, lo vorresti meno leggendario, meno fedele, meno esagerato. Ma poi Carmaux ti indica il ponte di comando, “Guarda lassù: il Corsaro Nero piange!”, e tu scorgi questo uomo accasciato sui cordami, con il volto nascosto tra le mani, e lo perdoni. E sai che non è finita. Perché lo scrittore non fa morire Honorata. La fa diventare la Regina dei Caraibi, e le permette di scegliere. “La vita o la morte?”. “L’amor tuo” risponde la giovane, in braccio al Corsaro Nero che cammina verso le onde del mare, indeciso se fermarsi o morire.

E il “vissero felici e contenti” di Salgari sta nel misterioso svanire dei due amanti, con il sollievo – per il lettore – che contate le scialuppe ne manca una.

Perché Salgari salva l’avventura fino in fondo. E un’avventura non sa che farsene di un finale con feste e banchetti. Il lieto fine sta dentro i margini, è rassicurante. L’avventura vive dell’imprevisto. È lo stare continuamente in bilico – per scelta o per destino – deridendo l’equilibrio e chi ne sente il bisogno.

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