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Economia: svalutare l’euro per uscire dalla grande crisi dei mercati mondiali

da Redazione

Da Nouriel Roubini a George Soros: “Non c’è alternativa per l’Unione”. Immediato vantaggio per il 40% delle attività di export UE verso l’estero.

 

di Saverio Mercadante


Uno è l’economista che ha previsto la Grande Crisi del 2008 dalla quale ancora non siamo usciti. L’altro è uno dei maggiori investitori del pianeta, che inventò decenni fa il primo hedge fund globale.

L’economista Nouriel Roubini e il finanziere ultra miliardario di origine ungherese George Soros, sono d’accordo su una ipotesi che va sempre più trovando consenso: svalutare l’euro.

“Se la domanda interna continuerà ad essere debole – anche a causa dei vari aggiustamenti fiscali e di bilancio adottati nel settore pubblico e privato – ci sarà il bisogno di riportare in attivo la bilancia commerciale e tornare esportatori netti per ripristinare la crescita economica”, afferma Roubini nella sua pagina Twitter.

Per migliorare il saldo della bilancia commerciale, favorendo le esportazioni, è “necessario un indebolimento del cambio e una politica monetaria più accomodante, che produca quel deprezzamento – in termini nominali e reali – di cui al momento l’eurozona ha bisogno. Deprezzamento che ancora non si sta verificando. Ecco un altro motivo per la quale in Europa c’è una profonda recessione”, scrive Roubini.

“L’Europa è simile all’Unione Sovietica, nel senso che la crisi europea alla fine sta creando il rischio di minare e distruggere l’Unione europea così come la conosciamo”, ha affermato Soros nei giorni scorsi.

“L’euro – ha dichiarato ancora George Soros – sta mettendo in serio pericolo la coesione politica dell’Unione e se si continuerà su questa strada il tutto potrebbe portare addirittura alla distruzione dell’Europa. Insieme alla profonda crisi economica, sociale e morale, possiamo osservare questo processo di disintegrazione”.

Rilanciare l’economia riducendo il valore della valuta europea alla parità con il dollaro. In questo modo l’effetto sarebbe il taglio del debito e il rilancio dell’export.

Tra i rischi, fuga di capitali esteri e aumento degli squilibri tra gli Stati.

Da una svalutazione del 30%, secondo gli analisti, trarrebbe immediatamente vantaggio il 40% delle attività di export europeo verso l’estero (oltre il 60% delle esportazioni avviene invece all’interno del continente). L’Italia, per tornare competitiva sul lungo termine, dovrebbe puntare in ogni caso a una riduzione dei costi di produzione.

Per stimolare le attività economiche servirebbero anche misure come “l’innalzamento del tetto del deficit dal 3% al 6-8%”, come indicato da Warren Mosler, economista e gestore di fondi Usa. Come sottolinea Giacomo Vaciago, docente di Politica Economica all’Università Cattolica di Milano, finanziando i debiti pubblici con l’eventuale inflazione innescata dal deprezzamento dell’euro si ridurrebbero le loro di dimensioni.

Mentre il deficit calava, l’indebitamento pubblico netto dell’Eurozona è salito nettamente, con un aumento all’87,2% del Pil, dall’85,3% dell’anno precedente.

Ma anche Giulio Sapelli, storico di economia alla Statale di Milano, la Bce dovrebbe piuttosto svalutare l’euro e finanziare il debito pubblico. “La storia dimostra che i debiti pubblici non si eliminano con le misure di austerity, ma con la creazione di inflazione”.

Draghi ha tagliato i tassi ai minimi storici, portandoli all’1%, ha iniettato mille miliardi di euro di nuova liquidità nel sistema bancario, con l’obiettivo di placare la tensione dei titoli di Stato e alleviare le sofferenze delle banche. L’effetto è durato poco più di quattro mesi e lo spread tra Btp italiani e Bund tedeschi è tornato sopra i 400 punti base, mentre il rendimento del decennale spagnolo ha sforato il 6%. E’ un sistema malato che farà un enorme fatica a venirne fuori. Forse.

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