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Fondo ammortizzatori sociali, “buco” da 5 milioni a San Marino

da Redazione

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San Marino Fixing ha aperto una discussione di ampio respiro sugli ammortizzatori sociali sul Titano. Che vanno ritarati per evitare distorsioni. Anche perché il conto del Fondo ad essi destinato è in profondo rosso, un “buco” da 5 milioni di euro.

di Loris Pironi


Sul numero della scorsa settimana, San Marino Fixing è partito da una richiesta di per sé assurda (ma che è stata formulata davvero) per giungere ad una riflessione di più ampio respiro su un tema che necessita un concreto approfondimento: quello dei parametri degli ammortizzatori sociali, a San Marino.
avoratori_industria.jpgPer chi si fosse perso la puntata precedente diciamo che la domanda paradossale, ingenua per certi versi, è stata formulata da una persona in mobilità che, chiamata per un nuovo lavoro, ha chiesto di essere rimessa in mobilità perché lavorando portava a casa meno denaro di quando era a spasso a spese del Fondo Ammortizzatori Sociali (quindi a spese delle imprese che cercano di barcamenarsi nella crisi e di tutti i lavoratori del settore privato). Dicevamo dell’ingenuità della domanda perché naturalmente la legge (la 73/2010) vieta al lavoratore che utilizza gli ammortizzatori sociali di rifiutare l’impiego che viene prospettato, pena la perdita di questo diritto. Ma la domanda in sé ha un fondo di logica, perché come Fixing ha spiegato la scorsa settimana, gli assegni di indennità salariale sono oggettivamente troppo alti, tanto da raggiungere un importo massimo di oltre 2.100 euro mensili e questo rappresenta un disincentivo alla ricerca di una nuova occupazione.

Va aggiunto che – in parallelo, ma a prescindere dalla nostra analisi della scorsa settimana – le parti sociali insieme alla Segreteria di Stato al Lavoro hanno incominciato a confrontarsi sul tema della riparametrazione di questi strumenti e che dunque il concetto della necessità di rivedere qualcosa è già passato. Il vero problema è che il Fondo Ammortizzatori Sociali non è una risorsa infinita, tutt’altro, e la storia di questa crisi che perdura dal 2008 e che negli ultimi due anni ha pesato non poco sulla cassa del Fondo impone un intervento prima che sia troppo tardi.

 

I conti del Fondo: il piatto piange

Il Fondo Ammortizzatori Sociali viene gestito dall’Istituto per la Sicurezza Sociale. In esso confluiscono i contributi versati dai datori di lavoro e dai lavoratori dipendenti (non i dipendenti pubblici, nella misura dell’1,9% a capo dei datori di lavoro e dello 0,5% a capo dei dipendenti sulle retribuzioni lorde effettivamente corrisposte.
Questi anni di dura crisi hanno sottoposto a una fortissima tensione il Fondo, tanto che oggi, tra mobilità, disoccupazione, cassa integrazione guadagni e riqualificazione, cui si sono aggiunti gli incentivi per le assunzioni che sono state disposte dal decreto 156/2011 (tutto confluisce nello stessa cassa) il deficit è di circa 5 milioni di euro. Purtroppo, almeno per il momento, non ci sono dati disaggregati per le diverse causali, e questo complica l’analisi, ma a prescindere è chiaro che la situazione non è più sostenibile. Ecco perché diciamo che è necessario, in tempi brevi, un riordino che sia commisurato alla realtà attuale.

 

La conferma del problema

William_VagniniLa conferma del problema legato agli ammortizzatori sociali la dà a Fixing William Vagnini (nella foto) Funzionario dell’Associazione Nazionale dell’Industria Sammarinese, che proprio la settimana scorsa ha partecipato a Palazzo Mercuri al confronto tra Segreteria al Lavoro e parti sociali sulla materia che stiamo trattando.
“Il tema degli ammortizzatori sociali – spiega Vagnini – è strettamente connesso alle politiche attive e alla semplificazione del collocamento. Il confronto è iniziato: Anis ritiene che sia indispensabile adottare misure correttive perché ce lo impongono l’esperienza maturata dall’entrata in vigore del provvedimento (il 2010, appunto, ndr) e il sopraggiunto aggravarsi della situazione economica delle nostre imprese. L’obiettivo principale deve essere la salvaguardia del-l’equilibrio del bilancio del Fondo degli ammortizzatori sociali, perché il rischio concreto è quello di dover ricorrere a un aumento delle aliquote contributive, che avrebbe inevitabili conseguenze sul costo del lavoro, conseguenze che il sistema delle imprese non è in condizione di sostenere”.
Anche Anis ha sostenuto al tavolo di confronto, la necessità di ricalibrare l’assegno di Indennità economica speciale. Anche in questo caso non ci sono a disposizione indicazioni statistiche che confermino che il maggior impegno per rientrare nel mondo del lavoro giunga nel momento in cui si avvicina la scadenza dell’ammortizzatore sociale, ma possiamo darlo quasi per assodato.
“È palese che un assegno troppo alto rappresenti un disincentivo alla ricerca di una nuova occupazione”, continua William Vagnini, “e non c’è dubbio che questo sia così in particolare per i lavoratori che provengono da quei settori dove vigono tabelle retributive molto alte. La proposta che abbiamo avanzato è quella di mantenere sì un certo peso per lo strumento di sostegno al reddito almeno nei primi tre, quattro mesi, così da consentire alla persona di ricercare una nuova occupazione senza eccessiva ansia, ma poi nei mesi successivi riteniamo che questo debba subire un sensibile abbattimento. Si tenga conto, poi, che complessivamente l’ammortizzatore sociale, fra mobilità e disoccupazione, ha una durata di 20 mesi”.
C’è poi un’altra anomalia su cui, contestualmente, si dovrebbe forse intervenire, ed è quella dell’utilizzo della cassa integrazione guadagni nei licenziamenti che riguardano i lavoratori frontalieri non stabilizzati. “Anche in questo caso – conclude Vagnini – ci troviamo di fronte ad un utilizzo improprio della CIG”.

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