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Decrescita felice contro gli sprechi

da Redazione

Serge.Latouche

 

Freegan, quelli che mangiano il cibo recuperato dai bidoni dei market. L’economista Serge Latouche propone una nuova idea di società.

Serge.Latouche

 

 

di Saverio Mercadante

 

Da una parte, c’è un freegan. Tristram Stuart, un giovane attivista e scrittore inglese. Mangia cibo recuperato dai bidoni fuori dai supermercati ed è stato il promotore di “Feeding the 5.000” (letteralmente nutrire/alimentare i 5.000), un evento organizzato a Londra a fine 2009 in cui migliaia di persone hanno mangiato del cibo che sarebbe stato distrutto. Sono state servite 3.500 porzioni di curry, tre tonnellate di prodotti alimentari e circa mezza tonnellata di frullati. Dall’altra, c’è un’economista francese Serge Latouche (nella foto), il profeta della decrescita felice. Tristram Stuart, nel suo libro “Sprechi”, edito da Mondadori, usa i dati ottenuti dall’esame di duemila cassonetti di abitazioni private, effettuato dal Waste and resources action programme, per spiegare perché produciamo troppo cibo e ne gettiamo via enormi quantità ancora intatte. Il pane e i prodotti da forno buttati ogni anno in Gran Bretagna salverebbero dalla fame 26 milioni di persone. Ogni anno gli inglesi sprecano 2,6 miliardi di fette di pane, 484 milioni di vasetti di yogurt ancora sigillati e 1,6 miliardi di mele. Complessivamente più del 30% del cibo comprato finisce nella spazzatura. La ragione, spiega Stuart nel libro, sta nell’inclinazione dell’essere umano agli eccessi. “Il surplus ha rappresentato la base del successo umano per diecimila anni”, spiega. Una tribù con cibo in eccesso diventa più forte e più grande. Gli esseri umani hanno sempre pensato che avere troppo è meglio che non avere abbastanza”. Secondo l’ipotesi di Stuart dal punto di vista finanziario è più conveniente eccedere nelle scorte e perdere, al massimo, il prezzo di costo, piuttosto che approvvigionarsi di una quantità insufficiente e perdere  ricavi della vendita. La vendita. È una strada obbligata per qualunque distributore. Ma il problema è l’approvvigionamento eccessivo per evitare il rischio di perdere vendite. In altre parole, si riempiono gli scafali per offrire un’immagine di abbondanza. I clienti se l’aspettano. Sono abituati così. È un fenomeno recente: negli anni ottanta capitava ancora di vedere degli scafali vuoti nei negozi. Ma ora l’esposizione del cibo è diventata una forma di ostentazione per impressionare i clienti. Serge Latouche, invece, nel suo ultimo lavoro – “Breve trattato sulla decrescita serena” –  cerca di uscire al di fuori dell’utopia per domostrare nel concreto le possibilità oggettive della trasformazione di una società eminentemente sviluppista. La base sono le otto R, otto cambiamenti interdipendenti: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare. Rivalutare significa colmare il vuoto di valori oggi dominante: “Amore della verità, senso della giustizia, responsabilità, rispetto della democrazia, elogio della differenza, dovere di solidarietà, uso dell’intelligenza” sono, oggi, indispensabili per creare un differente immaginario collettivo, all’interno del quale sarà necessario Riconcettualizzare e Ristrutturare tanto gli apparati produttivi quanto i rapporti sociali, nell’ottica di Ridistribuire le ricchezze e l’accesso al patrimonio naturale, sia fra il Nord e il Sud del mondo sia all’interno di ciascuna società. Rilocalizzare, nelle parole di Latouche, significa “produrre in massima parte a livello locale i prodotti necessari a soddisfare i bisogni della popolazione, in imprese locali finanziate dal risparmio collettivo raccolto localmente”. La sostituzione del globale con il locale rappresenta infatti il fulcro di qualsiasi progetto di decrescita, come Latouche ben sintetizza affermando che “Se le idee devono ignorare le frontiere, al contrario i movimenti di merci e capitali devono essere limitati all’indispensabile” ed aggiungendo che la rilocalizzazione non deve essere soltanto economica ma “anche la politica, la cultura, il senso della vita devono trovare un ancoraggio territoriale”. Ridurre gli impatti sulla biosfera dei nostri modi di produrre e di consumare, riutilizzare e riciclare i rifiuti del consumo, combattendo l’obsolescenza programmata dei prodotti, completano la serie dei cambiamenti proposti nel testo. Latouche nel testo traccia anche una sorta di programma politico che punta sul trasformare gli aumenti di produttività in riduzione del tempo di lavoro e in creazione di posti di lavoro, e in contrapposizione alla produzione di merci, alla produzione di beni relazionali come l’amicizia e la conoscenza, il cui consumo non diminuisce le scorte esistenti ma le aumenta. L’economista francese affronta anche il rapporto tra il pensiero della decrescita e la società capitalista, risponde a chi si domanda se la decrescita sia di destra o di sinistra affermando che “il programma che noi proponiamo è in primo luogo un programma di buon senso, altrettanto poco condiviso sia a destra che a sinistra” e rifiuta l’idea della creazione di un vero e proprio partito politico della decrescita, che rischierebbe di cristallizzare lo spirito del movimento.

 

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