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I primi banchieri a San Marino? Gli ebrei erranti, dal XIV Secolo

da Redazione

Emanuele da Rimini, un ebreo italiano a San Marino nel 1369. E’ al centro del primo documento che certifica la presenza ebraica a San Marino. Gli ebrei erranti sono stati, dal XIV Secolo, i primi banchieri sul Titano.

di Saverio Mercadante

SAN MARINO – Emanuele da Rimini, un ebreo italiano a San Marino nel 1369. E’ al centro del primo documento che certifica la presenza ebraica a San Marino. La menzione fa riferimento ad un prestito su pegno concesso a cittadini sammarinesi. Emanuele da Rimini era uno dei tanti banchieri che tra la fine del tredicesimo e il quattordicesimo secolo si aggiravano nelle città e nei borghi dell’Italia centrale e settentrionale. Discendeva da banchieri romani che dopo il trasferimento della Curia papale a Avignone si spostarono verso altri territori per esercitare il commercio e il prestito.
La povertà endemica, i problemi legati alla difesa e alla crescita urbanistica, la possibilità per i cittadini di avere a prestito danaro a condizioni regolate dalle autorità, crearono le condizioni per relazioni di reciproco interesse tra prestatori ebrei e città, basate sulla residenza temporanea, le cosiddette condotte. Anche a San Marino gli ebrei furono chiamati dalle autorità. La presenza di banchi di prestito ebraici era fondamentale per la vita di comunità povere e arroccate sui monti come San Marino. Negli archivi è presente una lettera del 1442 del conte Guidantonio da Montefeltro che ritiene catastrofica per la Repubblica la possibilità che qualche “sinistro” colpisse gli ebrei che a San Marino avevano “tucto el più utile de quella montagna in mano”.
Ma esiste un documento precedente del 1429 che testimonia l’attività di prestatore di Matassia dalla Savoia che esercitava la sua attività contemporaneamente ad Angelo da Tolosa. In seguito i due riunirono le loro attività in unico banco per motivi famigliari: Anna, la nipote di Angelo, sposa Musetto di Matassia.
Un capitolato del 1467 certifica l’esistenza di veri e propri patti tra la famiglia Matassia e la Repubblica. Si consente ai banchieri di “stare et abitare in terra predicta libere et secure”. Con notevoli “benefit”: erano esenti da imposizioni fiscali e in regime di monopolio e si garantiva loro la possibilità di esercitare oltre al prestito “artem et mercaturam et cambium”. Nel capitolato si regolavano anche le condizioni di prestito. Oltre al rispetto per le tradizioni ebraiche: garanzia di osservare liberamente il sabato, la disponibilità dei macellai locali due volte alla settimana per il macello rituale della carne al modo ebraico. La condotta era valida per quattro anni. Erano condizioni simili a quelle stabilite nelle altre città: un cimitero, una sinagoga, un bagno, un macello rituale e la possibilità di osservare le feste ebraiche. Nel Cinquecento, queste condizioni scompaiono dai documenti. In una condotta del 1561 non ve ne è traccia. La conferma dell’incarico al banchiere Musetto da Recanati stabilisce solo le clausole finanziarie del prestito: interesse al venti per cento sul prestito con pegno e senza pegno e sessanta danari di dazio all’anno alla Repubblica. Probabilmente in quel momento la presenza di ebrei a San Marino era saltuaria, non vi era di fatto una vera comunità residente. Nel corso del sedicesimo secolo i sammarinesi si opposero decisamente alla presenza di famiglie ebree in Repubblica. Questa ostilità forse fu provocata del fatto che dal 1523 la pesta devastava la pianura riminese dalla quale provenivano. Nel 1527 Sigismondo Malatesta in una lettera ai Reggenti fa riferimento ai sammarinesi che volevano “cacciar testi giuderj che stanno a San Marino”. Nel 1558 il banco dell’ebreo Musetto, banchiere ufficiale della Repubblica fu gravemente saccheggiato dalla folla.
I documenti testimoniano quindi sia nel Quattrocento che nel Cinquecento l’esistenza di un ufficio di banchiere della Repubblica. Con ogni probabilità era una filiale di un banco principale più grande gestito dagli ebrei nella grandi città di pianura. L’Ufficio venne assegnato ad ebrei originari di Ancona, Recanati, Urbino, a testimonianza ancora una volta di una presenza temporanea, per brevi periodi, o di agenti del banco principale. Angelo Bonaventura, banchiere della Repubblica, nel 1548 spedisce una lettera ai Reggenti da Ancona: si scusa per l’assenza dei gestori del banco che aveva impedito ai cittadini di riscattare i loro pegni e promette di mandare subito a San Marino il suo agente Salomone da Corneto. Agli ebrei sammarinesi era imposto un segno distintivo. Se ne ha tracce in documenti del 1530, 1561 e nel 1601. Inesistenti le testimonianze di predicazioni antiebraiche da parte dei francescani, molto frequenti invece nelle Marche e in Umbria. Rarissime le testimonianze di conversioni. Un’altra grande differenza rispetto alle regioni circostanti. In Umbria e nelle Marche le comunità ebraiche scompaiono già alla fine del quattrocento, inizi del cinquecento a San Marino la presenza degli ebrei è testimoniata almeno sino a tutto il diciassettesimo secolo. In un documento del 1603 papa Clemente VIII autorizzava ancora la presenza di un banco ebraico “come in Roma, e nella nostra città d’Ancona liberamente senza incorso di pena alcuna, impedimento o altra licenza”. Anche qui ancora una volta, s’impone la specificità sammarinese di Terra libertatis, l’autonomia della Repubblica, nonostante gli strettissimi rapporti con i signori delle Marche e poi con Roma.
Questa escursione storica ha fatto riferimento ai documenti del volume “Gli ebrei di San Marino dal XIV al XVII secolo” di Amy A. Bernardy.

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