Home FixingFixing Questo 2010 il povero Obama lo ricorderà  molto a lungo

Questo 2010 il povero Obama lo ricorderà  molto a lungo

da Redazione

Altro che “Yes we can”: lo slogan dovrebbe essere mutato in “Yes we compromise”. E’ proprio l’anno nero di Barack Obama. L’intoppo sulla riforma sanitaria, il caso BP, l’affaire Wikileaks, le guerre, il boom disoccupazione…

di Saverio Mercadante

 

“La riforma sanitaria è incostituzionale”. Questo il verdetto del giudice distrettuale Henry Hudson, sulla manovra più importante dell’amministrazione guidata da Barack Obama. “Quanto sta avvenendo dimostra che l’amministrazione Obama è un regime che non crede nella libertà di stampa e si comporta di conseguenza”. A poche ora dalla diffusione degli oltre 250 mila dispacci diplomatici, il fondatore del sito Wikileaks, Julian Assange, così ha parlato ad alcuni giornalisti arabi, denunciando “un massiccio attacco cibernetico contro di noi” al fine di impedire l’accesso al database online con i documenti. E’ proprio l’anno nero di Barack Obama. L’unica vera star planetaria, celebrato dopo la sua elezione come un Messia che avrebbe trascinato il mondo intero verso un nuovo Rinascimento. Nonostante avesse un consenso così trasversale e globale, il Presidente non ha potuto fare a meno di andare a sbattere dritto contro il muro della crisi economica. O più semplicemente contro il muro del Tea Party, gli ultra conservatori repubblicani che hanno distrutto i democratrici nelle elezioni di mezzo e sono solo la punta dell’iceberg dei poteri forti che si contrappone ferocemente allo spirito innovatore di Obama. Ma poi è così forte lo spirito visionario e riformista di Barack? In molti se lo chiedono, soprattutto tra i suoi sostenitori. Il primo Presidente di colore della storia degli Stati Uniti è di fatto ora ostaggio dei repubblicani. Lo slogan è cambiato perché la narrazione dell’era Obama è cambiata. Non più “Yes we can”, bensì “Yes we compromise”. E il compromesso non potrà non essere alla base di una delle più significative promesse della campagna elettorale di Obama: i tagli sulle tasse per le famiglie americane. Il presidente aveva promesso di estenderli ai nuclei familiari con un reddito inferiore ai 250 mila dollari annui e di non rinnovarli, invece, per le famiglie più benestanti. Una misura per rilanciare i consumi interni e per rispettare appunto il programma dell’Obama superstar del 2008. Lo sgravio fiscale scadrà il 31 dicembre. Ma cosa accadrà adesso con un congresso bicolore, Senato democratico e Camera repubblicana?

 

Disoccupazione e tax cut

 

Tutto la seconda parte del mandato Obama gira intorno a quel maledetto muro invalicabile, almeno per ora, della crisi. La disoccupazione endemica è il muro del pianto al quale gli americani si appoggiano per pregare il dio della rinascita dell’economia. Quel 10,1% di disoccupazione è la soglia del terrore di milioni di americani senza lavoro. Obama, il giorno dopo che si è insediato alla Casa Bianca ha subito capito che la festa era già finita. Non ha ascoltato nel 2009 le sirene illusorie del protezionismo. E come avrebbe potuto farlo, quando la Cina possiede pezzi enormi dell’economia USA? Ma ha presentato al Congresso un piano di rilancio dell’economia dispendioso ma senza effetti a breve termine. Tanto è vero che in autunno si è ripresentato l’allarme disoccupazione. Quindi diventa ancora più decisivo il prolungamento del tax cut, il taglio delle tasse: ci sarebbero altrimenti effetti terribili sulla martoriata economia americana. Se il Congresso bipolare non approva, milioni di contribuenti si ritroverebbero, nel giro di tre settimane, a dover sborsare centinaia di dollari.“Voglio essere sicuro che le tasse non salgano per le famiglie della middle class a partire dal primo gennaio”, ha dichiarato lo stesso Obama. “Questa è la priorità numero uno: quelle famiglie, la nostra economia”. Quindi s’innalza al cielo il nuovo slogan, “Yes, we compromise”. Accordo con i repubblicani per estendere il taglio delle tasse anche alle classi più abbienti per evitare il disastro del mancato rinnovo per la classe media, la spina dorsale dell’America.

 

Riforma Sanitaria

 

L’altro grande pilastro della vittoria elettorale di Obama, la riforma sanitaria, quella sulla quale anche Hillary Clinton si era immolata invano, tra forti compromessi Barack l’ha portata a casa. Eppure sembra che abbia pesato pochissimo sulle scelte elettorali nel Midterm. I cittadini hanno dissipato l’entusiasmo del 2008 sull’altare dei nuovi terrori: disoccupazione, l’incombere della recessione, catastrofi come l’incidente della Bp nel Golfo, che è costato e costerà in futuro miliardi di dollari ai cinque Stati coinvolti. Eppure ha messo sul piatto della riforma un milione di assegni di rimborso spese mediche ricevuti da altrettanti cittadini americani ai 50 Stati dell’Unione che oggi propongono un piano di copertura sanitaria anche agli under 19 con problemi di salute cronici, come l’asma o altre patologie che condizionavano pesantemente la possibilità per i privati di sottoscrivere un’assicurazione medica. Fino alla cifra Zero dollari, tonda tonda, che i cittadini spendono oggi per le visite mediche di prevenzione.

 

Le guerre

 

Ma ci sono altri due nervi sensibilissimi dell’amministrazione Obama. La guerra di terra e la guerra informatica. Portare via i soldati americani il più in fretta possibile si è rilevato impossibile. Per mesi Obama aveva indicato il 2011, ora si parla del 2014. L’evoluzione della situazione rischia addirittura di favorire i talebani. E per quanto riguarda Wikileaks mai paradosso fu più devastante. Il primo vero presidente 2.0, il visionario della trasparenza della Rete che gli ha fatto con tutta probabilità vincere l’elezioni, viene messo alla berlina dal cortocircuito creato dall’inefficienza delle protezione informatiche USA. L’eventuale estradizione per processare Assange sarebbe la negazione alla radice dello “Yew we can”. Anche e soprattutto nella libera informazione.

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