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Economia: la parola chiave è fiducia Importante anche più che in politica

da Redazione

Un voto di fiducia in Parlamento può sgangherare un governo. Ma la fiducia non è meno importante in economia. Che cosa ci dicono allora le indagini periodiche sulla fiducia degli operatori? La rubrica Prima Nota, di Paolo Brera, su Fixing n.36 oggi in edicola.

Un voto di fiducia in Parlamento può sgangherare un governo. Ma la fiducia non è meno importante in economia.
È stato proprio un economista matematico, l’americano Von Neumann, a dire che il sistema produttivo non può essere compreso senza l’analisi delle rappresentazioni di tutti gli agenti coinvolti, il che è come dire di tutti noi. Se uno pensa che le cose andranno bene, spende produce e investe; se pensa il contrario, sparagna e difende ciò che ha. La risultante di tutte queste opinioni definisce la tendenza dell’economia nel suo insieme. Con una riserva, ma non anticipiamo.
Che cosa ci dicono allora le indagini periodiche sulla fiducia degli operatori? In Italia, il clima delle aspettive delle famiglie si è riportato in settembre ai valori massimi dallo scorso aprile.
“Dopo la forte flessione dello scorso mese, recuperano soprattutto le valutazioni sulla situazione personale. L’indice cresce da 104,1 a 107,2”, dice l’Isae nel suo solito gergo burostatistico da quieta non movere et mota quietare.
Questi stessi cittadini che ormai sfacciatamente sperano che loro se la cavano sono comunque pessimisticucci sul quadro economico generale, improntato a moderata flessione con l`indicatore che si ridimensiona da 81 a 80,6.
Contano però anche i sondaggi nel settore della produzione. Diamo ancora la parola al burostatistichese dell’Isae: l’indice di fiducia delle imprese manifatturiere, dopo diciotto mesi di rialzi, registra a settembre una battuta d’arresto, attestandosi a 98,4 da 99,3 d’agosto. Tornano a deteriorarsi le valutazioni sulla domanda, mentre le scorte di magazzino si confermano al di sotto del normale e risalgono le previsioni a breve sulla domanda e sull’occupazione. Il peggioramento è dovuto esclusivamente al cattivo andamento nei beni di investimento, dove l’indice scende da 96 a 93,9; la fiducia sale invece nei beni di consumo (da 99,2 a 100,8) e negli intermedi (da 99,5 a 100,6).
Tradotto e forse anche un po’ spiegato: chi produce per i consumatori ridacchia; chi conta sul ciclo delle scorte (per produrre bisogna avere in magazzino le materie prime) sorride, chi vende attrezzature prende il Prozac. Il barometro delle aspettative sale.
Resistiamo alla tentazione di stappare la bottiglia di millesimato e brindare al ritorno dei bei tempi. Come chiunque a San Marino può testimoniare, esiste anche quello che avviene al di là dei confini, che è il motivo per cui sto parlando dell’Italia dale colonne di una rivista sammarinese. Nemmeno l’Italia può ignorare ciò che sta avvenendo nel resto del mondo.
E qui è un mosaico. Non tanto in Europa, visto che gli ultimi sondaggi segnano bel tempo. Per esempio l’indice tedesco della fiducia dei consumatori Gfk è salito in ottobre a 4,9 dal 4,3 di settembre, un dato superiore alle attese. Il rialzo per ottobre (l’indice globale Gfk si riferisce sempre al mese entrante) riflette il calo della disoccupazione e la moderazione dei prezzi al consumo. L’indice delle aspettative economiche è salito a 53,5 punti in settembre dal 46,6 in agosto. Buoni risultati anche negli altri Paesi dell’Unione, con l’eccezione della Spagna. Inutile citare gli indici uno per uno, la tendenza è chiara. Fuori dall’Europa c’è un certo ottimismo in Asia ma si sta deteriorando la situazione dei consumatori e delle imprese statunitensi.
Il difetto dei sondaggi sullle aspettative è che di fatto essi misurano le variazioni rispetto a una situazione “normale” che, tuttavia, nelle percezioni può evolversi anch’essa.
Se dicono a Pinco che ha il cancro, il suo ottimismo ha una caduta, ovvio. Ma se poi apprende che si può curare, e poi, ancora, che le terapie stanno avendo successo, dopo la prima fase un ipotetico “indice di clima delle aspettative” comincia a segnare continui miglioramenti. Resta però che è meglio non avere tumori.
La ripresa dell’economia italiana dipende dalla ripresa mondiale e dalla capacità di esportare beni e servizi per cui esiste domanda. Su questo, “la giuria è ancora fuori”, come dicono gli americani.
Non si può poi prescindere dalle condizioni reali: la crescita dell’intero pianeta è condizionata dalle risorse disponibili, che non sono infinite. Qui la psicologia deve fare i conti con la “tetra scienza” – l’economia, così soprannominata perché studia come agisce l’homo oeconomicus alle prese con la scarsità.
Vedremo. Ma a parte le previsioni dei singoli sui consumi e sui redditi, c’è un settore in cui l’ottimismo proprio non c’è, come dimostra la ricerca eseguita da un altro istituto, l’Ispo.
“Nel Paese si registra una forte e generalizzata caduta della fiducia”, si legge nell’analisi. “Il disagio si trasforma in scetticismo nei confronti del contributo della politica ad uscire dalla crisi: nell’ottobre del 2009 il 31% del campione intervistato riteneva certamente positivo l’operato del governo, a settembre di quest’anno si scende al 23%, con uno scivolone dell’8%”.

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