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Casa di Fabrica scrigno della memoria

da Redazione

La Casa di “Fabrica”, oggi Museo della Civiltà Contadina e delle Tradizioni della Repubblica di San Marino, è lo scrigno della memoria: una ‘bomboniera’ che il Consorzio Terra di San Marino continua a migliorare di mese in mese.

Attrezzi e arredi di una civiltà solo apparentemente passata, che ancora oggi raccontano – attraverso il recupero di antichi oggetti – un mondo di valori civili, morali, culturali e scientifici.
La Casa di “Fabrica”, oggi Museo della Civiltà Contadina e delle Tradizioni della Repubblica di San Marino, è lo scrigno della memoria: una ‘bomboniera’ che il Consorzio Terra di San Marino continua a migliorare ed arricchire di mese in mese di nuovi ricordi, di manufatti in legno e ferro, quasi a voler ricomporre – grazie alla passione dei due curatori Ezio Bartolini e Filippo Giardi – un puzzle identitario di un Paese che ancora ricorda con orgoglio le sue origini.
“La comunità sammarinese – esordisce Bartolini – partecipa attivamente alla crescita della ‘fabrica’ implementando la collezione, sempre più frequenti le richieste di concittadini di voler donare reperti di famiglia al Museo, vedere “rivivere” i loro pezzi in questo contesto riempie il loro cuore di orgoglio e di gioia”.
Il museo, ultimamente, si è arricchito di due nuove “testimonianze”: il banchetto del ciabattino e il banco da falegname con pialletti.
“Nelle case di campagna – racconta Bartolini – tutti riparavano e costruivano le scarpe. Con la costa dei pneumatici, ad esempio, si facevano i sandali. Gli oggetti di arredo del banchetto del ciabattino che abbiamo la fortuna di ospitare sono il lascito di quattro anziani nonni sammarinesi”. Il curatore della Casa di “Fabrica” poi si siede sullo sgabellino (“La seduta è originale, le gambe le ho dovute rifare, ma utilizzando un legno vecchio” confida) e, con pazienza e precisione d’altri tempi, illustra il ‘tesoro’: “Con pazienza siamo riusciti a recuperare per questo banchetto da ciabattino tutti i ‘ferri del mestiere’. C’è la pece con la quale si bagnava il filo in modo da creare un effetto idrorepellente; c’è la cera d’api e tutte le lesine (i ‘punteruoli’ che, bagnati nel grasso, servivano per facilitare la foratura della suola). Le lesine (strumento appuntito per forare tomaia e suola nell’operazione di cucitura delle scarpe) hanno varie forme: alcune sono ricurve, e servivano per lavorare le parti tondeggianti della scarpa, altri invece sono dritti per operare altri punti della suola meno curvilinea”. Sul banchetto anche un corno di animale che i contadini utilizzavano per lucidare gli angoli delle scarpe.
Accanto all’officina delle calzature, il banco del falegname – lungo e intagliato dalle ‘ferite’ che negli anni le pialle e gli attrezzi gli hanno lasciato. “Per riportarlo al suo splendore, abbiamo dovuto operare con delicatezza e per molto tempo: il piano di lavoro era ricoperto da diversi strati di vernice. Non è stato facile riportarlo al suo naturale colore. L’esemplare che abbiamo nella Casa di ‘Fabrica’ è abbastanza raro: ci è arrivato tutto intero, con le morse in testa per serrare i legni anche di una certa lunghezza. In passato abbiamo trovato oggetti simili, ma non completi. Questo, fortunatamente, ci è giunto integro, senza parti mancanti”. Dal tavolo, attraverso alcuni piccoli fori verticali, escono una serie di cunei in legno che, annota Ezio Bartolini, “servivano per bloccare le tavole. A seconda della lunghezza dell’oggetto di lavoro, si faceva salire un ‘cilindro’, che fungeva anche da pressa. In questo modo il contadino poteva prendere gli attrezzi e levigare, tagliare, piallare, aggiustare”.
Tra i ricordi più particolari custoditi nel Museo della Civiltà Contadina, anche una bascula. “E’ stata costruita durante il Regno D’Italia – conclude Bartolini – dai fratelli Mongelli di Bari, e seguiva le macchine della trebbiatura: serviva per pesare i sacchi di grano di grandi dimensioni. Vicino alla firma dei costruttori si può ancora vedere uno stemma araldico”.
 

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