Home NotizieEconomia I roghi russi e il prezzo del grano La Terra e la fragile economia

I roghi russi e il prezzo del grano La Terra e la fragile economia

da Redazione

In meno di sei mesi, tre catastrofi naturali sono venute a rammentarci la fragilità dell’economia mondiale e la primordiale potenza di Gea, il pianeta vivente di cui, indegnamente, siamo parte anche noi. Prima il terribile vulcano islandese Vattelapescajökull, poi la fuoruscita di petrolio dal pozzo Deepwater Horizon nel Golfo del Messico: 4,9 milioni di barili finiti in mare, e un milione ancora lì a fare danni. E oggi, infine, i roghi dei campi in Russia, che rendono difficile respirare e stanno facendo salire il prezzo dei cereali in tutto il mondo.

Di Lou Nissart

 

In meno di sei mesi, tre catastrofi naturali sono venute a rammentarci la fragilità dell’economia mondiale e la primordiale potenza di Gea, il pianeta vivente di cui, indegnamente, siamo parte anche noi. Prima il terribile vulcano islandese Vattelapescajökull, la cui nube ha appiedato il jet set e azzoppato i produttori di primizie. Poi la fuoruscita di petrolio dal pozzo Deepwater Horizon nel Golfo del Messico: 4,9 milioni di barili finiti in mare, e un milione ancora lì a fare danni: la più grande offesa che l’industria petrolifera abbia fatto all’ecologia nella storia dell’umanità. Oggi, infine, i roghi dei campi in Russia, che rendono difficile respirare e stanno facendo salire il prezzo dei cereali in tutto il mondo.

Gli incendi, infatti, hanno profondamente colpito i raccolti del primo Paese esportatore di grano – con una produzione che è l’8% di quella mondiale, una bella differenza rispetto alla vecchia Urss comunista, che invece il grano lo doveva importare perché l’agricoltura "socialista" proprio non ce la faceva. Quando il fuoco avrà completato i suoi effetti, dai campi russi si raccoglieranno da 70 a 75 milioni di tonnellate al posto dei 90 milioni attesi. Il governo non si è cosparso il capo di cenere (che in questo momento non manca di certo): ha proibito l’esportazione di cereali, e ha mobilitato gli stock di sicurezza (25 milioni di tonnellate, un livello più che adeguato).

Obiettivo: contenere il prezzo del grano sul mercato interno. Ma con ciò stesso, il Cremlino li ha fatti salire a razzo sul mercato mondiale: dall’inizio della crisi, al Chicago Mercantile Stock Exchange i corsi sono quasi raddoppiati, prima di arretrare lievemente.

Tanto è bastato perché sui mercati tornasse ad aleggiare lo spettro della crisi alimentare, come nell’infausto biennio 2007-2008. I prezzi delle materie prime alimentari sono entrati in tensione. Per la Russia, l’aspettativa è che l’inflazione riparta: se le previsioni ufficiali non sono ancora state cambiate – dall’8,8% del 2009 al 6-7% quest’anno e al 5,5–6,5% l’anno venturo – gli analisti indipendenti pensano che si avrà invece un’accelerazione: secondo Btb Kapital, 7,6% nel 2010 e 7,7 nel 2011, ma per Danske Bank addirittura 9,2%, e per Morgan Stanley 9% nel 2010 e 9,5% nel 2011.

Sgradevole, indubbiamente, ma pur sempre un fatto locale. Quando si passa a valutare l’impatto dei fuochi sull’economia globale, però, le certezze diminuiscono. La Fao, l’organizzazione Onu per l’agricoltura e l’alimentazione, ritiene che si stia creando una «situazione seria» sul mercato del grano, e che se l’attuale fiammata dei prezzi dovesse protrarsi, nei Paesi poveri si potrebbero verificare problemi di sicurezza alimentare. La stessa Fao ritiene tuttavia che «la paura di una crisi alimentare mondiale non sia gisutificata in questo stadio» perché «il mercato del grano resta nettamente più equilibrato rispetto alla situazione durante la crisi del 2007-2008». L’Ocse aggiunge che i livelli degli stock sono oggi più alti e i raccolti al di fuori della Russia presentano prospettive migliori di allora. «In questa fase, è molto prematuro tracciare paragoni con la fiammata del 2007-2008», ha dichiarato all’agenzia Reuters Ken Ash (un cognome fatidico), direttore del Commercio e dell’agricoltura presso l’Ocse. Le tensioni attuali per di più appaiono concentrate sul mercato del grano, mentre la crisi di allora aveva abbracciato un insieme di prodotti alimentari di base, carburando un’esplosione dei prezzi anche sul mercato dell’energia. Il petrolio aveva raggiunto, per un breve periodo, i 180 dollari al barile.

Il quale petrolio, a dire il vero, non si sta comportando con troppa pacatezza nemmeno adesso. Un anno e mezzo fa i prezzi del petrolio greggio erano piombati giù fino a meno di 40 dollari al barile, oggi hanno superato gli 80 e sembrano felici di veleggiare in quelle altezze. Negli ultimi due mesi, in particolare, l’aumento è stato consistente. Anche il prezzo dell’oro è alto, intorno ai 1200 dollari per oncia.

Sono, questi, movimenti indipendenti da quelli dei prezzi agricoli? Posta in questo modo, la domanda è priva di senso. Nessun prezzo si può dire indipendente da nessun altro né, in generale, da nessun evento dell’economia. Bisogna però vedere la misura di questa dipendenza. Possiamo spiegare il caro-oro con un certo ribrezzo per i cartaccia-bond del recente passato – non è un caso se alle prime voci sul disastro agricolo russo i media si sono riempiti di rassicurazioni sulla solvibilità finanziaria della Russia, che rimane del resto intatta viste le enormi riserve di valuta, 467 miliardi di dollari. Molto più inquietante appare una recente comunicazione dall’emisfero australe, secondo cui nell’Australia orientale potrebbe scatenarsi già la prossima settimana una perniciosa invasione di locuste, capace di compromettere il raccolto di cereali. Allora sì che saremmo nei guai. Non si scherza con Gea: nonostante tutti i progressi della tecnologia, è sempre lei la più forte.
 

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