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Italia e Spagna, valzer su trasporti e telecom

da Redazione

La rubrica Prima Nota di Paolo Brera su Fixing n.8 ragiona sul giro di valzer che presto potrebbe veder protagonisti l’Italia e la Spagna: pare imminente ormai una nuova tornata di fusioni e acquisizioni in materia di trasporti e telecomunicazioni. E questa volta dovrebbero essere gli iberici a tirare fuori i quattrini.

Combinando il flamenco con la tarantella, si può ottenere… un altro giro di valzer. Fra Italia e Spagna, infatti, potrebbe partire fra breve un’altra tornata di fusioni e acquisizioni, dopo l’acquisto di Endesa da parte di Enel e quello di Cuatro da parte della Telecinco (Gruppo Berlusconi).
Stavolta però sarebbero gli spagnoli a comprare. L’Italia dovrebbe accogliere bene i nostri investitori, ha lamentato infatti il ministro dell’Industria spagnolo Miguel Sebastián: “La Spagna si è mostrata aperta al capitale italiano e penso sia una questione di reciprocità”. Ed ha aggiunto: «Quello che facciamo è creare la cornice affinché l’Europa possa avere un mercato digitale con gruppi importanti, in modo che il settore delle telecomunicazioni sia in espansione in Europa”. Di che stava parlando il ministro? Ma della Voce delle Voci! Cioè quella di un prossimo takeover di Telefónica su Telecom Italia, voce che corre non sul filo di un qualunque telefono ma per le vie ben più pregnanti che passano per i salotti della politica e della finanza.
Al centro si trova Telco, la controllante di Telecom. La holding italo-spagnola possiede il 22,447% del capitale della compagnia di telecomunicazioni. Il principale azionista è Telefónica per il 46,2%, mentre una cordata bancaria italiana (Mediobanca, Generali e Intesa-SanPaolo) si spartisce il resto. Di recente ne è uscita Sintonia, la società dei Benetton, che deteneva l’8,4% ma ha preferito ricevere direttamente azioni Telecom. La gestione Telco, in atto da un po’ più di due anni, non è andata esente da polemiche, sopra tutto grazie a un azionista battagliero, la Findim di Marco Fossati, che detiene il 5% e che aveva già trovato da ridire su alcune cessioni di asset Telecom all’impresa spagnola. Secondo le voci, alcuni degli azionisti italiani di Telco vorrebbero cedere le proprie quote a Telefónica, ma troverebbero intralci nei politici romani. Tutto smentito, tutti smentiscono. Ma intanto il quotidiano La Repubblica ha scritto, senza citare fonti, che Telefónica e Telecom Italia decideranno entro marzo o aprile se fondersi o chiudere la partnership. In effetti, dal punto di vista di Telefónica l’investimento non è stato latte e miele: le azioni Telecom sono valutate meno della metà di ciò che le ha pagate e non c’è un controllo completo.
Fossati è a favore di una fusione fra le due società telecom, ma si è espresso con vigore contro un eventuale passaggio del controllo attraverso un semplice giro di quote dentro Telco: il finanziere sostiene l’idea di un passaggio trasparente, con tanto di Opa, perché ne possano approfittare anche i minori. “Si potrebbero sfruttare le sinergie tra le due società con vantaggi per tutti gli azionisti”, ha detto Fossati, mentre se non si uscisse dal chiuso di Telco “saremmo di fronte a una manovra esclusivamente finanziaria che danneggerebbe Telecom, per esempio in Sudamerica, e comporterebbe vantaggi soltanto per Telefónica. In questo caso saremmo pronti a dare battaglia in tutte le sedi e ricorrendo a tutte le armi di cui disponiamo”, ha concluso. Il 77% del capitale di Telecom Italia è di proprietà di soci che non partecipano a Telco, cosa che fa della compagnia telefonica una specie di public company.
I Benetton, che sono usciti da Telco lasciando la stecca alle tre grandi banche, hanno in corso anche un’altra partita italo-spagnola, quella su Atlantia (ex Autostrade). Due anni fa il governo italiano aveva fermato la fusione della società con i catalani di Abertis (una realtà di livello più che europeo, con 11.000 dipendenti e 3,7 miliardi di euro di fatturato). Ne era uscita una soluzione di compromesso in cui Abertis conservava il 6,68% delle azioni, apportate al patto di sindacato, ma l’azionista principale era Sintonia con il 38,06% e altre quote avevano Fondazione Crt (6,68%), il fondo Aabar Investments di Abu Dhabi e Assicurazioni Generali (3,38% ciascuna). Il resto era flottante, di cui in Gran Bretagna il 40%, Usa, Italia e “Resto dell’Europa” 14% ciascuno, Norvegia 12%, Svizzera 4%, Resto del mondo 6%. Abertis considerava la sua quota, o diceva di considerarla, come un investimento puramente finanziario. L’idea di un merger però non era morta, e sta tornando fuori adesso con il progetto (oh, smentito anche quello, smentitissimo!) di fondere Abertis non solo con Atlantia ma anche con Gemina, che controlla Aeroporti di Roma.
Iin questo progetto sono parte diligente i Benetton, che sono anche nel patto di sindacato di Gemina insieme a Mediobanca e si troverebbero a controllare il nuovo gruppo, anche se con qualcosa di meno della maggioranza del capitale. La fusione creerebbe un gruppo piuttosto forte sul piano industriale, presente nei trasporti e nelle telecomunicazioni come si confà ad Abertis, ma non dominato da questa come nel caso di una fusione senza Gemina. Malgrado tutte le smentite, di questo mondo, qualcosa fra l’Italia e la Spagna si sta quasi sicuramente preparando – a mancare, a quanto si dice, è solo l’avallo finale della politica.

Paolo Brera

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