Home FixingFixing San Marino, l’arte delle donne al telaio raccontata da Ezio Bartolini

San Marino, l’arte delle donne al telaio raccontata da Ezio Bartolini

da Redazione

Sembra di vederle ancora più nitide, quando ci si lascia abbracciare dai racconti che sembrano ancora abitare la Casa di Fabrica, sede del Museo della civiltà contadina.

bartolini ezio

 

“Mentre filavo quieta e in silenzio, senza fermarmi neanche una volta, venne un uomo giovane e bello vicino alla mia rocca. Lodava cose degne di lode, in questo c’era forse del male? Simili al lino le mie chiome, e il filo così uguale”. Sembra di vederle davvero, le filatrici del poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe, impegnate a lavorare al telaio. Sembra di vederle ancora più nitide, quando ci si lascia abbracciare dai racconti che sembrano ancora abitare la Casa di Fabrica, sede del Museo della civiltà contadina. Con Ezio Bartolini – dopo aver parlato della cucina e del ruolo centrale che aveva all’interno di un’abitazione – entriamo nell’arte antica e preziosa della tessitura.

Il curatore della casa ci accompagna nella sala che ospita alcuni modelli funzionanti di telai. E inizia a ricamare le sue parole, oscillando – come una spoletta – tra i fili della storia. Una storia, quella della Casa di Fabrica che, come testimonia il Placito Feretrano, affonda le sue radici nell’885 quando – conferma Bartolini illustrando una copia del documento originale – “risultava già essere presente un podere chiamato ‘fondo fabrica’, ubicato più o meno dove si trova oggi l’immobile”.

Il curatore ci invita ad entrare nella sala dei telai e, sedendosi davanti a un gioco di fili bianchi, intreccia memorie. “La donna era la prima ad alzarsi, la mattina. preparava da mangiare per la casa e per gli uomini che andavano a lavorare nei campi. Durante la giornata li raggiungeva, portava loro il cibo e se serviva, dava una mano. La sera, mentre i mariti si riunivano nelle aie o nelle stalle (a seconda della stagione) per parlare tra di loro, lei faceva la tela oppure cuciva, spesso assieme ad altre donne”. Così, mentre chiacchieravano, preparavano “il corredo, creavano le lenzuola o le tovaglie sia per l’uso personale che eventualmente come merce di scambio. Venivano utilizzate la lana, ma solo dopo essere stata cardata, il lino e la canapa. Quest’ultima, prima di essere ricamata, veniva fatta essiccare”.

Il grande telaio che impreziosisce la stanza è ancora funzionante: fatto in legno di quercia, ha oltre 130 anni. Impossibile capire il funzionamento: l’intreccio di fili fa perdere la vista. Non a tutti però: il signor Ezio Bartolini si siede, passa alcuni fili attraverso una spola, e mette in moto il telaio. La spola passa attraverso l’arazzo intricato di fili bianchi, e trova l’uscita. Il curatore aziona a pedale alcune leve, sistema con un paio di colpi di polso sicuri e fermi, e il filo si ferma lì dove, 150 anni fa, le abili donne posizionavano la loro arte. “L’ordito è l’insieme di fili che insieme a quelli della trama concorrono nel formare un tessuto”. Poi si ferma. “Le canadine – spiega, indicando alcuni intarsi posti in cima alla macchina – servivano invece per i ricami”. Vicino, un piccolo telaio, sempre in legno. “Veniva utilizzato per tessere alcune stoffe che venivano impiegate per fasciare i più piccoli”. Bartolini si guarda in giro, e infine appoggia lo sguardo su uno strumento lungo. “E’ la gramola, e serviva per sfibrare la canapa, che è un fusto alto anche due metri. In questo modo veniva snervato e lavorato”.    

Nell’aria rimane aurea mitologica, che riporta all’età classica. Sembra di vederle, le Moire descritte da Platone ne “Repubblica”: “Figlie di Necessità, Lachesi, Cloto ed Atropo, vestite di bianco e col capo cinto di bende; e cantavano Lachesi il passato, Cloto il presente, Atropo il futuro”. Cloto è colei che fila, Lachesi è quella che avvolge, Atropo infine, è colei da cui non si può fuggire. Tutte e tre ricamano la storia dell’umanità.

Forse potrebbe interessarti anche:

Lascia un commento