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Politica: la longa manus sull’editoria della Repubblica di San Marino

da Redazione

Il Progetto di Legge è passato ma presenta ancora qualche cono d’ombra. I benefici all’informazione (“briciole”) e il nodo dell’editore puro.

 

di Alessandro Carli

 

Non possiamo dire che la montagna abbia partorito un topolino – prima non c’era nulla, ora qualcosa c’è – però la riforma dell’editoria (o più precisamente, il “progetto di Legge in materia di editoria e di professione degli operatori dell’informazione”) così come è stata approvata dalla Commissione Consiliare dopo un lungo iter e un serrato confronto, presenta più di qualche cono d’ombra.

Il plauso per il varo di una normativa che scandisce (finalmente) il nostro mestiere finisce lì dove iniziano una serie di riflessioni. Non entrando, volutamente, nelle polemiche degli ultimi giorni – dall’aver preso pari pari da Wikipedia le linee-guida della Legge in poi – ci vogliamo soffermare su una manciata di aspetti che riteniamo molto importanti.

Quando il progetto di Legge venne presentato a sommi capi, l’auspicio era quello che contenesse elementi-chiave per lo sviluppo del settore: crescita e riconoscimento dei professionisti, agevolazioni per i giornali, formazione, eccetera.

Testo alla mano, sembra invece che si sia preferito lavorare di cesello sulla manus longa della politica sui media locali. L’articolo 7 difatti prevede un comma che demanda alla nascente Autorità Garante per l’Informazione – organismo di nomina politica da parte del Consiglio Grande e Generale con presidente scelto dal segretario di Stato con delega all’Informazione – di applicare le sanzioni deontologiche ai giornalisti che operano sul Titano.

 

I BENEFICI ALL’INFORMAZIONE


Non c’è la pretesa di imitare il cattivo esempio italiano – milioni di euro dati alle testate giornalistiche e milioni di parole scritte e dette di polemica – però qualcosa di meglio si poteva certamente fare. Come molti sanno, una delle anime che permette ai giornali di vivere si chiama “pubblicità”. Una voce che, come potete leggere qui sotto, è in forte contrazione anche in Italia. Dopo il frugale pasto degli anni passati (meno di 50 mila euro da suddividere tra le testate locali), la nuova Legge, “al fine di promuovere e sostenere il settore dell’informazione”, prevede una serie di “benefici”: un contributo sino ad un massimo del 7% sul costo del prodotto editoriale documentato e comunque non superiore a 10 mila euro, e un contributo per testata sino ad un massimo del 30% sul costo derivante dal servizio di fornitura di notiziari da parte delle principali agenzie di informazione sino a un massimo di 5 mila euro. Conti della serva alla mano, una testata virtuosa e particolarmente certosina nella contabilità, riesce ad ottenere al massimo 15 mila euro all’anno.

 

IL NODO DELL’EDITORE PURO


Nella relazione, il segretario Iro Belluzzi ha trattato anche un altro nodo, quello legato alla figura degli editori. “Il grande dibattito che porta a chiedersi se l’editore puro è quello che si occupa solo di media oppure può essere considerato puro anche chi pur avendo il pieno controllo di una testata ha trasparentemente interessi in altri settori economici e le criticità rilevate dalla Commissione di Vigilanza in relazione alle provvidenze, ha portato ad un altro intervento di importante rilevanza, ovvero la definizione di ‘Editori puri’ (Articolo 19). Tenuto conto che ad oggi il concetto di esclusività si ritiene non adeguato all’evolversi del mondo del lavoro, la scelta fatta è quella di considerare tali gli editori (intesi come persone fisiche e persone giuridiche, titolari di licenza, che hanno quale attività prevalente l’attività editoriale) solo se la prevalenza dell’attività editoriale risulta inequivocabilmente dall’oggetto della licenza e dall’oggetto sociale per la persona giuridica, proprio per stabilire con chiarezza che tale attività non sia legata a gruppi finanziari che hanno interessi prevalenti in altri settori. L’articolo precisa inoltre che le imprese editrici, controllate o partecipate da finanziarie, da fiduciarie o, in percentuale di maggioranza, da imprese che non svolgono quale attività prevalente quella editoriale, non sono editori puri e sono escluse dai benefici previsti dal progetto di legge”.

 

 

AGCOM: LA RELAZIONE ANNUALE 2014


Prima o poi doveva arrivare. Il 2013 è stato l’annus terribis per l’intero comparto delle comunicazioni italiano (telecomunicazioni, radio e televisione, editoria e internet, servizi postali), con un calo del 9 per cento dei ricavi sul 2012 e ora a quota 56,1 miliardi di euro. E’ questo il primo dato che salta agli occhi leggendo la relazione annuale Agcom 2014 (Autorità garante delle comunicazioni).

Ci soffermiamo sull’editoria, sia quotidiana e quella periodica, che ha perso nel 2013 quasi 700 milioni di ricavi.

E’ sempre più flebile quindi la luce accecante registrata nel 2009, quando l’anno finì con 3,1 miliardi e molti brindisi, specie nella redazioni. Oggi invece i quotidiani sono scesi da 2,5 miliardi del 2012 a 2,3 miliardi (-7%) mentre per i periodici la forbice percentuale è più larga: -17% (in 12 mesi i ricavi si sono schiacciati passando da 2,8 miliardi a 2,3 miliardi). A conti fatti, viene da leggere, non c’è differenza tra le due periodicità.

La parte del leone la fa la pubblicità, crollata in maniera verticale nonostante le due diverse filosofie di comunicazione: quella che vede gli imprenditori investire nella pubblicità soprattutto in tempo di crisi per far passare un “messaggio positivo”, di stabilità, e quella – sempre più diffusa – che vede le aziende “tagliare” questa voce.

Nel 2013 il calo dei ricavi complessivi rispetto all’anno precedente è stato del 10,9%, da 8,3 miliardi a 7,4 miliardi. Crollano periodici (-24,1%) e quotidiani (-13,2%), ma vanno male anche tv (-10,1%) e cinema (-7%). La radio perde il 6,4%. Scende per il primo anno anche Internet (-2,5%).

La raccolta pubblicitaria ha quindi registrato una contrazione dei ricavi nei diversi settori, da un minimo del -2,5% (web) a un massimo del -30% degli annuari.

 

DENARO PUBBLICO PER I GIORNALI


Nell’ultimo quinquennio i finanziamenti pubblici si sono notevolmente contratti, anche se la diaspora risulta essere ancora piuttosto corposa. Per l’anno 2014 il dipartimento per l’Editoria della presidenza del Consiglio ha stanziato più o meno 140 milioni di euro, replicati anche per il 2015 e il 2016. Su questo gruzzoletto però pende la spada di Damocle: nel caso i conti richiedessero uno o due buchi in mano sulla cintura, potrebbero essere vistosamente tagliati.

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