Home FixingFixing La basilica di San Pietro in Vaticano, capolavoro sammarinese?

La basilica di San Pietro in Vaticano, capolavoro sammarinese?

da Redazione

L’architetto (forse nato sul Titano) fu chiamato da Papa Giulio II: pensò a un rivoluzionario impianto a croce greca, che richiamasse ai primi martiri della cristianità. Le sue idee però trovarono anche molte critiche, sfociate in un dialogo satirico: Guarna lo definì “Maestro ruinante”.

 

Il nome dell’architetto sammarinese Bramante si lega in maniera indissolubile a Roma, in particolar modo alla basilica di San Pietro, che fu iniziata nel 1506 sotto papa Giulio II e fu portata a termine 120 anni più tardi, nel 1626 con papa Urbano VIII.

I libri di storia dell’arte, in particolar modo quello di Giulio Carlo Argan ma non solo, ci aiutano a trovare la rotta. E a recuperare, quasi filologicamente, cosa avvenne oltre 500 anni fa in quel del Vaticano.

Giulio II nel 1505 era a capo della Chiesa e su consiglio di Michelangelo (sembra per dare un contorno all’altezza del mausoleo che aveva scelto per la sepoltura), decise di dare inizio alla basilica. Il papa consultò i più grandi artisti e architetti del tempo, tra cui Giovanni Secondo e Giuliano da Sangallo (l’architetto di fiducia del Pontefice), ma alla fine incaricò Bramante Lazzari. Giulio II aveva le idee molto chiare: l’edificio doveva essere eretto a perfetta pianta centrale, come volevano gli architetti e gli intellettuali della Curia, tra cui il neoplatonico Egidio da Viterbo. Bramante (per la ricostruzione dei suoi progetti sono fondamentali due fogli che si conservano agli Uffizi, universalmente noti come fogli 20Ar e 1A, dalla loro collocazione nella collezione fiorentina) lavorò alacremente: pensò a un rivoluzionario impianto a croce greca, che richiamasse ai primi martiri della cristianità, caratterizzato da una grande cupola emisferica, posizionata al centro del complesso.

Gli studiosi, per capire la configurazione firmata da Bramante Lazzari, si sono rifatti anche a un disegno ritenuto autografo, detto “piano pergamena” in cui la ricerca del perfetto equilibrio tra le parti portò lo stesso architetto a omettere persino l’indicazione dell’altare maggiore, segno evidente che gli ideali del Rinascimento erano maturati anche all’interno della Chiesa.

Il progetto firmato e pensato da Bramante rappresenta un momento cruciale nell’evoluzione dell’architettura rinascimentale, ponendosi come conclusione di varie esperienze progettuali e intellettuali e confluenza di molteplici riferimenti. La grande cupola era ispirata a quella del Pantheon (altra opera incantevole) e doveva essere realizzata in conglomerato cementizio.

In generale tutto il progetto riferimento all’architettura romana antica nella caratteristica di avere le pareti murarie come masse plastiche capaci di articolare lo spazio in senso dinamico. I richiami all’architettura romana erano presenti anche nelle grandi volte a botte dei bracci della croce.

La costruzione della nuova basilica avrebbe inoltre rappresentato la più grandiosa applicazione degli studi teorici intrapresi in primis da Leonardo per le chiese a pianta centrale, le cui elaborazioni sono chiaramente ispirate alla tribuna ottagonale della bellissima cattedrale di Firenze. Tuttavia non tutti i disegni di Bramante indicano una soluzione di pianta centrale perfetta, segno forse che la configurazione finale della chiesa era ancora questione aperta al momento di cominciare il cantiere.

I lavori iniziarono nel 1506 con la demolizione dell’abside del transetto dell’antica basilica. In cantiere però fu mantenuto quanto costruito dal Rossellino per il coro absidale, portato a termine completandolo con lesene doriche, in contrasto con il progetto del “piano pergamena”.

La sola certezza sulle ultime intenzioni di Bramante e Giulio II è la realizzazione dei quattro possenti pilastri uniti da quattro grandi arconi destinati a sorreggere la grande cupola, fin dall’inizio, dunque, elemento fondante della nuova basilica. Nonostante una serie di lunghissimi avvicendamenti alla conduzione del cantiere (da Raffaello Sanzio a Michelangelo Buonarroti, a Carlo Maderno), i progetti bramanteschi influenzarono comunque lo sviluppo dell’edificio, con l’uso della volta a botte e con i quattro piloni sormontati da altrettanti pennacchi diagonali a sostegno di una vasta cupola emisferica.

Benché l’esterno e buona parte dell’interno dell’attuale San Pietro parlino oggi il linguaggio del grande Michelangelo, furono Giulio II e Bramante Lazzari (la forza decisionale e la forza della costruzione) i veri ideatori di questo centro spirituale e materiale della città.

Le idee del grande architetto però – e non ci sorprendiamo: ieri come oggi, poco è cambiato – suscitarono polemiche permanenti fuori e dentro la Chiesa. Bramante, soprannominato “maestro ruinante”, fu dileggiato nel dialogo satirico “Simia” (“Scimmia”) di Andrea Guarna (pubblicato a Milano nel 1517), che racconta come l’architetto, presentandosi da morto davanti a San Pietro, venga da questi rampognato per la demolizione e risponda con la proposta di ricostruire l’intero Paradiso.

I lavori della grande basilica però, annota con grande precisione il portale www.vatican.va, “furono interrotti dalla morte prematura di Bramante, avvenuta l’11 aprile 1514. Fino ad allora si era compiuta solo una drastica opera di demolizione innalzando, contemporaneamente, i giganteschi piloni e i quattro archi che avrebbero dovuto sostenere la cupola, e avviando la parte iniziale del braccio di croce meridionale. Prima di morire, Bramante stava lavorando ad una seconda ipotesi con sviluppo a croce latina, poi ripresa da Raffaello Sanzio quando, per volere di Leone X Medici, ricevette l’incarico di proseguire la costruzione insieme a Fra’ Giocondo da Verona, nominato il 1 novembre 1513 e il quasi settantenne Giuliano da Sangallo, nominato il 1 gennaio 1514. Ma anche questo progetto rimase sulla carta, poiché tutti e tre gli architetti morirono nel breve giro di sei anni. Nei fatti, fu costruita solo la base dell’immenso coro occidentale progettato a suo tempo da Bramante – in seguito abbattuto e modificato da Michelangelo con una soluzione più compatta e di dimensioni realizzabili – e l’inizio del deambulatorio sud. Bramante verifica e porta al limite il metodo di controllo progettuale di coordinamento sintattico degli spazi proposto da Brunelleschi, estendendolo tuttavia da caso particolare a metodo universale, atto ad organizzare tridimensionalmente l’edificio come ‘macchina’ spaziale’ articolata e complessa”.

 

Urbanistica civile e San Pietro in Montorio


Oltre alla basilica, l’architetto lavorò anche sul cosiddetto “Tempietto del Bramante”, che risale ai primi anni del Cinquecento, a San Pietro in Montorio, che la critica considera, giustamente, “uno degli esempi più significativi dell’architettura rinascimentale”. E’, di fatto, un piccolo monumento celebrativo, dedicato al martirio di San Pietro, ed è decorato con temi liturgici di origine ellenica. Secondo i progetti iniziali, il tempietto avrebbe dovuto inserirsi al centro di un cortile circolare, non realizzato (l’attuale è di forma rettangolare), così da evidenziare la perfetta simmetria dell’impianto e sottolineare la centralità del tempio.

Ma Bamante fu molto attivo anche punto di vista urbanistico. Il programma di rinnovamento della città voluto da Giulio II fu messo in atto con l’apertura di via Giulia: Bramante tracciò un lungo rettifilo che stabilì un rapido collegamento tra il Vaticano e il cuore della città, ancora di struttura medievale; sull’altra sponda del Tevere la via della Lungara, anch’essa in linea retta, venne predisposta dall’architetto con lo scopo di unire il Vaticano con Trastevere e il Porto di Ripa Grande. Bramante perciò diede un importante contributo anche nei progetti a livello urbano, preferendo tracciati rettilinei, con visuali prospettiche centrali: anche in questo campo ritornano e vengono sviluppati gli insegnamenti maturati a Urbino. Bramante diede un contributo fondamentale anche nel campo dell’architettura civile, specialmente nei progetti per palazzi signorili: purtroppo sono stati tutti demoliti, ma per fortuna possiamo conoscere questi edifici da disegni e stampe dell’epoca. Il più importante fu il Palazzo Caprini, che sorgeva nel rione Borgo, vicino alla basilica di San Pietro e era conosciuto anche come ‘casa di Raffaello’, perché in seguito fu abitato dal famoso pittore. Le tradizionali funzioni dei palazzi cittadini (botteghe al piano terra e abitazioni ai piani superiori) sono mantenute dal Bramante differenziate nella facciata: il piano terra era rivestito in pietra rustica, appena sbozzata (il bugnato), che dava l’idea della solidità e della pietra naturale; il piano superiore, invece, presentava coppie di semicolonne di ordine dorico che inquadravano le finestre dell’abitazione e si contrapponeva per la sua eleganza al massiccio blocco del basamento.

Con questi pochi elementi ben studiati e proporzionati Bramante riuscì a concepire un nuovo modello di residenza urbana, che sarà seguito anche nei decenni successivi dai suoi discepoli e collaboratori.

Forse potrebbe interessarti anche:

Lascia un commento