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Accordi FATCA e pensionati, San Marino cerca soluzioni

da Redazione

La Segretaria agli Esteri al lavoro per attenuare gli oneri per questa categoria di cittadini. Inviato alle autorità USA un documento dell’ISS per ottenere una deducibilità.

 

di Daniele Bartolucci

 

Gli accordi FATCA sono tornati sul banco della Commissione Esteri, questa volta per affrontare il tema – spinoso – dei pensionati sammarinesi, probabilmente la categoria più in difficoltà per quanto riguarda le dichiarazioni dei redditi richieste dal fisco americano. Ad aggiornare i Commissari, nell’ultima seduta, è stato direttamente il Segretario agli Esteri Pasquale Valentini, che ha voluto chiarire alcuni aspetti della situazione dopo aver visto “crescere varie dicerie, opinioni e una notevole confusione. Ritengo che questa Commissione debba essere fatta partecipe delle problematiche e di poter esercitare insieme un ruolo per fare chiarezza su un argomento che ha rilevanza, non solo per le persone interessate, ma anche per lo Stato”. Infatti, “oltre il 10% della popolazione è interessata dalla doppia cittadinanza sammarinese e americana”. Come noto, “la problematica fiscale è venuta in evidenza con l’entrata in vigore degli accordi FATCA”, che però “non hanno modificato la legge fiscale americana”, ha ribadito Valentini: “Gli accordi hanno provocato lo scambio di informazione, gli Stati uniti hanno preteso di poter conoscere la situazione dei conti bancari dei loro cittadini ovunque residenti nel mondo. Un cittadino ovunque residente”, specificatamente, “per gli Stati uniti deve fare la dichiarazione negli Stati uniti”. E con il FATCA sono emerse le situazioni di tutti i cittadini americani nel mondo, compresi gli oltre 3.000 sammarinesi con doppia cittadinanza residenti in Repubblica. Purtroppo “l’assenza di accordi contro le doppie imposizioni e sulla sicurezza sociale hanno aggravato la situazione, perché chi fa la dichiarazione dei redditi deve per obbligo in America pagare anche la sicurezza sociale”. Il problema è reale, ma “non è vero che le autorità sammarinesi non hanno mai proceduto ai due accordi: dal 2003 ci sono scambi di note per stipulare con Usa accordi sulle doppie imposizioni, ma gli Usa non hanno valutato la cosa interessante, perché i volumi di scambio non giustificavano per loro la stipula di un accordo complesso”. Anche nel 2014, in occasione del FATCA, San Marino ha richiesto i due accordi, e “per la prima volta abbiamo avuto un incontro al Dipartimento economia americano, da cui è iniziato uno scambio di elementi tecnici che dovrebbe produrre la costituzione di un gruppo di lavoro misto per vedere di addivenire ad un’ipotesi di accordo”. Il problema è che anche se si dovesse giungere domani ad un accordo contro le doppie imposizioni ciò “non evita l’obbligo della dichiarazione dei redditi”. Anche se potrebbe “attenuare tramite credito di imposta alcune tassazioni da pagare negli Usa”. E non vale nemmeno la rinuncia alla doppia cittadinanza, che “può avvenire solo se la posizione fiscale è in ordine”.

Detto questo, Valentini ha ammesso che “il credito di imposta nel nostro caso è svantaggioso perché il livello di tassazione nel nostro Paese è inferiore. Non possiamo quindi immaginare un effetto strabiliante malgrado l’accordo”. E l’altro accordo, quello in materia di sicurezza sociale? “Si rivolge prevalentemente a società ed è rivolto a tutelare questa tipologia, noi invece abbiamo prevalenza di pensionati. Se anche raggiungiamo poi velocemente questi accordi non hanno valore retroattivo e il pregresso rimane. C’è però una norma che viene incontro alla regolarizzazione, una norma transitoria, in caso sia riconosciuto che il contribuente ‘poteva non sapere’ di dichiarare, per la lontananza di lunga durata dagli Usa, ma è una finestra transitoria che permette di contribuire solo gli ultimi tre anni. Il problema quindi riguarda le situazioni pregresse”, ha ribadito Valentini. E in questo caso “la legge americana prevedere tutta una serie di deducibilità e crediti fiscali, anche senza legge contro le doppie imposizioni. Abbiamo chiesto all’ISS, in quanto erogatore delle pensioni, di documentare l’incidenza sulle pensioni che ha avuto la contribuzione, per far capire all’amministrazione americana che sono conseguenza di un versamento fatto nel tempo non di una donazione dello Stato. Abbiamo avuto la possibilità di non avere una dichiarazione individuale, lo studio è generale e ci dice la media della retribuzione che è attorno al 51% e può essere portato come elemento di deducibilità. L’ISS ha fornito un dato e ha fatto una relazione di 15 pagine per spiegare come si è arrivati a quel dato. Noi lo abbiamo inviato alle autorità americane, ma senza una verifica non si può dire che, se c’è copertura del 51%, allora c’è deducibilità del 51%, è un meccanismo da valutare con autorità americane e specialisti. Bisogna vedere qual è il meccanismo di deducibilità”.

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