Home FixingFixing Speciale cultura: “Essere o non essere”, la vera risposta non c’è mai

Speciale cultura: “Essere o non essere”, la vera risposta non c’è mai

da Redazione

I dilemmi sono fatti così: più che una soluzione richiedono un tentativo o una scelta. La più banale delle domande – “come stai?” – oggi è diventata davvero molto “insidiosa”.

shakespeare

 

di Simona Bisacchi

 

“Essere o non essere, questo è il dilemma: se sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine?”, questo si domandava Amleto in uno dei più accattivanti monologhi di William Shakespeare. La risposta non c’è. O almeno, non ce n’è una univoca, che valga per ogni individuo, in ogni situazione.

I dilemmi sono fatti così: più che una soluzione richiedono un tentativo, una scelta, e che ti vada bene o male ti lasciano comunque il dubbio di come sarebbe andata se avessi preso l’altra strada.

Le domande dalla difficile risposta fanno parte della storia del mondo.

Il problema vero – ne converrebbe anche Amleto, immagino – è quando non si hanno più risposte nemmeno per quesiti elementari.

La più banale delle domande – “Come stai?” – oggi è diventata così insidiosa, da rimpiangere un compagno di banco disposto a suggerirti la risposta.

Amleto, forse, risponderebbe che si sente un po’ confuso e darebbe via al suo celebre monologo.

L’interlocutore rimarrebbe certo spiazzato e magari non capirebbe fino in fondo come sta davvero Amleto, ma a uno che si fa scrivere i testi da William Shakespeare un po’ di stravaganza è perdonata.

Nella vita di tutti i giorni, di questo eccentrico ventunesimo secolo, si punta sulla semplicità, buttando lì un “Tutto bene”.

Risposta sobria che porta all’orrore negli occhi dell’interlocutore, scandalizzato che in una situazione così difficile, articolata, eccetera-eccetera-eccetera, tu possa stare bene.

Ti affretti ad aggiungere “Certo, tutto bene, per la situazione che è, naturalmente”.

E leggi un po’ di sollievo nell’altro, che non ti giudica più superficiale e crudele, ma che comunque non vuole sapere altro della tua grama vita, che ne ha già abbastanza della propria.

Se invece si è in vena di franchezza e si ammette che è dura, perché il lavoro, perché la famiglia, perché la pioggia, perché…

Allora l’interlocutore prende coraggio e decide di tirarti su.

Ti incita a non arrenderti, a reagire, finché non capisci più se sta parlando con te o con se stesso.

E mentalmente ti annoti che hai sbagliato risposta, che dovrebbero imporre per legge una risposta multipla come nei quiz, e che la tattica corretta l’ha trovata Enrico Brizzi negli anni Novanta, quando il vecchio Alex di “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” rispondeva “Medio” a chi gli chiedeva come andava.

Quando poi si crea la circostanza giusta, quando lo scambio di battute tra maschere lascia spazio a un dialogo di affetto, allora rispondi che stai come uno che vive in un un mondo in cui non è mai stato così complesso respirare.

Che ti manca decidere quando entrare e uscire di casa, dove andare, con chi.

Ti manca cantare abbracciato a un amico che si è appena sposato.

Stare seduti tutti attaccati a un tavolo, perché lo spazio è piccolo ma i familiari tanti. E non poterlo fare ti sta cambiando in un modo che non ti piace.

E non ti piace non sentire il chiacchiericcio che fanno le signore quando si parlano nell’orecchio sulla panca di una chiesa.

Non ti piace la piazza della città senza tutti quei tavolini, che all’inizio ti sembravano uno scempio.

E quando incontri qualcuno, invece che dirgli “Come stai?”, vorresti solo domandargli: ma, secondo te, i ragazzi si baciano ancora?

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