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Smart Working, anche la Repubblica di San Marino avrà la sua Legge

da Redazione

Il testo sopperisce al vuoto normativo sulla nuova modalità di lavoro. Già depositato e pronto per approdare in Consiglio Grande e Generale, anche se rimanda a un accordo tra associazioni datoriali e sindacati. Vagnini (ANIS): “Sia uno strumento semplice e fruibile, votato ad incrementare la competitività delle imprese”.

indagine qualità smart working

 

di Daniele Bartolucci

 

Lo smart working è entrato ormai a pieno titolo nelle dinamiche aziendali di tutto il mondo e non fa eccezione San Marino, che, però, “non ha ancora una normativa apposita”, ha evidenziato il Segretario al Lavoro Teodoro Lonfernini. “Se durante l’emergenza sanitaria, proprio uno dei primi interventi è stato quello di dare la possibilità del lavoro a domicilio, occorre disciplinare lo smart working in maniera strutturale, anche per trovarsi pronti di fronte a eventuali nuove necessità”.

Da qui la presentazione del progetto di legge che andrà in Consiglio Grande e Generale nelle prossime settimane, con procedura d’urgenza, perché entri in vigore quanto prima.

“Alla legge, però”, spiega il Segretario Generale di ANIS, William Vagnini, “dovrà seguire un apposito accordo interconfederale tra categorie e sindacati da stipularsi entro il 31 dicembre 2020 che definisca nello specifico la procedura da osservarsi. Condividiamo quindi l’opportunità di lasciare che a confrontarsi sul tema siano le organizzazioni datoriali e quelle sindacali, ovvero le parti che normalmente si confrontano sul tema del lavoro: l’auspicio è che si trovi il giusto equilibrio nell’utilizzo di questo importante strumento che, va sottolineato, deve avere l’obiettivo della maggiore competitività, migliorando al contempo la conciliazione dei tempi di vita-lavoro dei propri dipendenti. Per questo, ci aspettiamo che lo smart working sia facilmente attivabile, indipendentemente dal Covid: è una modalità di lavoro che in molti settori è già utilizzata, come dimostrano i nostri dati sulle aziende associate, e probabilmente lo sarà ancora di più in futuro, grazie alle innovazioni tecnologiche che permettono di svolgere molte mansioni anche fuori dall’azienda”.

 

VANTAGGI LAVORATIVI E SGRAVI CONTRIBUTIVI

 

“Il progetto di legge arriva infatti al termine di un lavoro fatto insieme alla Segreteria agli Interni, alle parti sociali e alle associazioni di categoria”, spiega quindi Teodoro Lonfernini, specificando che “è una legge che, qualora ve ne sia bisogno, permette ai lavoratori di proseguire la propria attività in sicurezza e, contemporaneamente, in maniera efficiente e in regola con le leggi”. La legge nasce infatti dalla “precisa volontà di introdurre una norma che disciplini, durante il rapporto di lavoro, la modalità dello smart working”, scrive Lonfernini nella relazione accompagnatoria, “che consiste nella possibilità di eseguire la prestazione lavorativa in parte nella sede del datore di lavoro e in parte da un diverso luogo, mediante l’utilizzo dì strumenti telematici e con la possibilità di poterla svolgere con flessibilità di orario”. Inoltre, “regola in modo unitario, salvo particolarità, sia l’ambito occupazionale del settore privato sia quello pubblico”. Gli obiettivi “sono molteplici”, spiega il Segretario di Stato al Lavoro, a partire dal “cercare di coniugare il più possibile l’incremento della competitività d’impresa ed efficienza dei servizi pubblici con la migliore conciliazione dei tempi di vita-lavoro dei propri dipendenti e, dunque, puntando ad un decisivo miglioramento del loro stato di benessere, come risulta da diversi studi in materia”. Ma “è altresì rilevante l’innovativo impatto di questa particolare modalità di svolgimento della prestazione lavorativa nella modifica dell’organizzazione del lavoro delle aziende che decidono di investire in innovazione tecnologica”. Anche per questo, “essendo una nuova tipologia di svolgimento di lavoro che deve essere promossa e incentivata, sono stati previsti alcuni sgravi contributivi per quel datori di lavoro che concordano tale modalità con alcune particolari tipologie di lavoratori”. In pratica, “le ore lavorate in smart working dai lavoratori individuati nell’accordo”, recita l’articolo 7, “che risultano essere genitori o affidatari di figli minori sino ai dodici anni di età, di figli in condizioni di disabilità o membri di nuclei familiari aventi nello stato di famiglia persone disabili o non autosufficienti godono di uno sgravio contributivo pari al 50%. Lo sgravio contributivo viene calcolato sull’importo dovuto, abbattuto dagli eventuali ulteriori sgravi riconosciuti al datore di lavoro. La differenza per i contributi effettivamente dovuti sarà coperta mediante trasferimento dal capitolo “Fondo speciale per interventi sull’occupazione e contenimento del costo del lavoro”. Tale sgravio, però, “non è concesso agli amministratori, ai dirigenti, ai dipendenti che risultano essere soci o ai dipendenti che risultano essere coniugi o parenti sino al secondo grado del titolare, dei soci o dell’amministratore”.

 

SARÀ ATTIVABILE SU BASE VOLONTARIA

 

La strutturazione della normativa dello smart working si fonda su alcune prescrizioni basilari: innanzitutto, “il rapporto di lavoro resta quello subordinato, con stessi diritti, doveri e trattamento economico equivalente tenendo conto della performance del dipendente”, si legge nella relazione di Lonfernini. Ma soprattutto, “l’attivazione è su base volontaria e solamente previo accordo fra datore di lavoro e lavoratore”.

Quindi, “la prestazione lavorativa deve essere svolta prevalentemente in azienda e in parte da remoto in diverso luogo”, ma “può essere svolta con flessibilità oraria, o comunque in orari diversi da quelli ordinari”. Come si sta discutendo in Italia, inoltre, “è condizione necessaria che sia definito il diritto/dovere alla disconnessione del lavoratore”. “Particolare attenzione”, prosegue Lonfernini nella sua relazione, “è stata prestata anche al tema della strumentazione tecnologica utilizzata, alla sicurezza informatica, alla privacy e alla sicurezza sul lavoro, agendo su due aspetti: da una parte lasciando varie possibilità a datori di lavoro e lavoratori, dall’altra definendo chiaramente le responsabilità di ciascuna parte in causa una volta scelti e concordati tutti gli aspetti di tale scelta”. Tra azienda e lavoratori dovrà comunque essere sottoscritto un accordo (art. 6) riguardante: “gli strumenti utilizzati dal lavoratore e i luoghi prescelti per lo svolgimento della prestazione lavorativa; le forme di esercizio del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro che comunque non potranno prevedere strumenti per il controllo visivo; i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative che possono assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro; le condotte, connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali e delle sedi pubbliche, che danno luogo all’applicazione delle sanzioni disciplinari; la possibilità di svolgimento della prestazione lavorativa per fasi, cicli e obiettivi; eventuali attività di formazione e di periodica certificazione delle relative competenze”.

 

ACCORDO TRA ASSOCIAZIONI DATORIALI E SINDACATI

 

“L’aspetto più complesso da definire”, ammette Lonfernini nella sua relazione, “è risultato quello inerente la modalità di regolamentazione dell’accordo di cui all’articolo 8 del progetto di legge. Infatti, su tale punto, le esigenze in campo erano distanti: la flessibilità e la libertà richieste dai rappresentanti dei datori di lavoro si scontravano con la necessità di controllo preventivo richiesto dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali”. La mediazione finale è stata dunque “definire e concordare, da una parte, gli aspetti più sostanziali dell’accordo e, dall’altra, demandare alla contrattazione collettiva, tramite il rinvio ad un apposito accordo interconfederale, la definizione nello specifico della procedura da osservarsi per la stipula dell’accordo e degli aspetti più delicati che toccano gli aspetti puramente contrattuali di questa modalità di lavoro, con l’impegno di definirlo entro il 31 dicembre 2020”. Pertanto, “il progetto di Legge si presenta, volontariamente, come un testo snello, determinando una cornice legislativa unica e demandando alla contrattazione collettiva, anche per il tramite di accordi interconfederali e tenendo conto del ruolo riconosciuto alle Parti Sociali fin dalla legge numero 7 del 1961 sulla Tutela del Lavoro, la precisa e particolareggiata disciplina dello “Smart Working” nei vari settori economici, compreso quello pubblico. Le parti sociali hanno accettato e condiviso questa “sfida”, coscienti che si tratti di una assoluta novità per il Paese e che sia importante attivarla con un accordo condiviso”. In ogni caso, “il Congresso di Stato ha però mantenuto (articolo 10) la possibilità di intervenire e rendere esecutiva la legge, qualora non fosse possibile per le parti trovare un accordo entro la data prevista”.

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