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“Grande Nudo Femminile” di Francesco Messina: echi dell’eredità ellenistica

da Redazione

Lo scambio epistolare tra il Maestro siciliano e il professor Giuseppe Rossi raccontano la sua grande importanza.

Francesco Messina

 

di Alessandro Carli

 

“Caro Professore, accetto il suo entusiastico giudizio sulla mia opera come dimostrazione di straordinaria sensibilità, e la ringrazio. Volesse il cielo che le sue espressioni le accettasse il tempo, solo e indiscutibile giudice della produzione di un artista. Le sarò grato se la Repubblica di San Marino, tanto attenta alla cultura, mi facesse l’onore di esporre tale mia scultura nella sua splendida rocca”. Con queste parole il celebre scultore Francesco Messina risponde a una lettera del professor Giuseppe Rossi che, in una missiva riferita al “Grande Nudo Femminile”, scriveva: “Alla perfezione delle forme della donna si accompagna una mollezza di atteggiamento cui conferiscono estremo fascino le braccia leggermente aperte e le stesse mani, bellissime, nel loro rilassato abbandono. Più si guarda questo capolavoro, più lo si guarderebbe. Il linguaggio artistico usato nell’intera composizione non ha un solo attimo di pausa, ma è ognora presente e se stesso con una coerenza che ha del prodigio. Novella Venere che emerge dalla spuma del mare, ripete attraverso le forme un eterno messaggio di umanità che supera l’antichità classica e adegua la figura ad una attualità perenne che certissimamente non subirà l’offesa del tempo. Ella giunge a noi sulle ali di quel vento che è l’ultima forza del vecchio artista, malato di vecchiezza, ma ancora capace di ‘modellare nudi’ per la nostra delizia fatta da un inganno che noi continuiamo ad amare”.

L’opera a cui si riferisce questo scambio epistolare è “Grande Nudo Femminile”, opera in bronzo alta 173 centimetri, acquistata dalla Cassa di Risparmio di San Marino nel 1982 per adornare la sua Galleria, nella quale poi l’Istituto per la Cultura, l’Arte e l’Economia della Cassa stessa ha organizzato una mostra antologica dell’artista – una delle ultime realizzate mentre l’autore era ancora in vita – tutta incentrata sui nudi femminili (16 luglio – 22 settembre 1994).

La scultura “sammarinese” di Francesco Messina (nato a Linguaglossa, Catania, nel 1900 e morto a Milano nel 1995), così carica di echi dell’eredità classica greco-romana ed ellenistica, “si caratterizza”, ha scritto Carlo Carrà, per “un fare semplice e grandioso” e per un “procedimento idealistico e classico” in grado di dar vita a forme che restano come “immagini ideali”.

Allo Stato sammarinese lo scultore ha fornito il bozzetto per una moneta d’argento da 1.000 lire con l’immagine di San Benedetto nel XV centenario della nascita, emessa nel 1980.

Sull’importanza e sull’influenza che ha avuto Francesco Messina nel mondo dell’arte a 360 gradi, due preziosissime “testimonianze”, quella di Giorgio de Chirico e quella di Salvatore Quasimodo. Il primo scrisse che “quello che cerca soprattutto Francesco Messina nella sua scultura è di raggiungere la bellezza dell’aspetto plastico con le forme giuste e finite; la finezza del modellato, il carattere risultante dall’osservazione acuta e dalla lunga elaborazione; il tutto unito ad eleganza e buon gusto; questi due fattori sono indispensabili ad ogni vero artista… A forza di lavoro, di polimento della forma, di acutezza plastica d’ogni angolo della scultura, le statue di Francesco Messina nascono come creazioni piacevoli a guardarsi, a toccarsi, a fiutarsi; hanno infatti anche un ‘buon odore’…”.

In quanto a Salvatore Quasimodo infine, “le sue opere ci rivelano in quale direzioni si va definendo l’arte di questo grande scultore. In quella sorta di purgatorio dove lo hanno relegato la maggior parte dei suoi esegeti con un verismo da distruggere e una tecnica da aggregare, Messina ha lungamente ragionato con i modelli dell’antica arte ellenica”.

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