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Ma cos’è davvero la felicità, signor Luigi Pirandello?

da Redazione

Il Premio Nobel di Agrigento ti risponderà semplicemente: “La luna”. Nelle sue novelle il grande scrittore indaga con precisione l’animo umano.

Luigi Pirandello 1932

 

di Simona Bisacchi Pironi

 

Che cos’è la felicità?

Come si rincorre?

Dove si trova?

Inizi a leggere le novelle di Luigi Pirandello e pensi che la felicità non esista.

Pensi che il grande scrittore premio Nobel, indagando l’animo umano sin nelle sue più profonde asperità, si sia ritrovato davanti a un vuoto di gioia senza scampo.

I personaggi di queste brevi storie sono brutti, schiacciati dall’esistenza, destinati a vicende senza speranza. Vorresti interrompere la lettura, per prendere una boccata di allegria… Ma se hai la pazienza di scansare quella sensazione claustrofobica che emana la pagina, e procedi, troverai inaspettate risposte alla più consueta, complessa e imprescindibile domanda che l’essere umano si pone: cos’è la felicità?

Cos’è la felicità, signor Pirandello?

La felicità è la luna, ti risponderà. Perché quando un misero ragazzo, inutile agli occhi degli altri, spaventato più dal buio della notte che dal nero delle miniere… Quando questo ragazzo inciampa nel riflesso della luna, scopre la natura del proprio cuore, conosce la grandezza che l’essere umano porta in sé anche nelle più oscure cave, anche là dove la luce non sembra arrivare e nessuno è disposto a prestarti la sua. “E Ciaula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla gran dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore”.

(in “Ciaula scopre la luna”).

Pirandello ti racconterà anche che la felicità è un bambino. Quando iniziamo a leggere la sua storia, Elisabetta è una donna insignificante, rinnegata dal padre, umiliata dal marito che se ne andrà dopo averle rubato ogni spicciolo, tanto da non permetterle nemmeno di mangiare. Ma a lei non importa. A lei importa solo proteggere il figlio che aspetta. Non le importa di essere sola con quella creatura, di non poter contare sulle ricchezze del padre, di non poter tornare nella sua grande dimora. Perché l’animo umano respira diversamente in ogni petto. C’è chi non può fare a meno di portoni dorati, chi ha bisogno di un bicchiere d’acqua per scatenare tempeste e chi ha solo bisogno di un sorriso per ricominciare a prendere fiato. ” ‘Io piangerei, credi, se dovessi portare là, in quella tristezza, in quella oppressione, il mio bimbo, che ha tanto riso di luce, qua, vedi? Tanta allegrezza!’ E in mezzo alla nuda, santa semplicità della casetta, levò alto sulle braccia il suo bambino al sole che entrava festivamente, con la frescura degli orti, dai balconi spalancati” (in “Felicità”).

E poi c’è la felicità più strana di tutte. La felicità dell’immaginazione, che alcuni chiamano follia e che Pirandello sa descrivere da gran maestro. È la felicità di Belluca, così afflitto dalla sua quotidianità, da arrivare a dimenticarsi che esisteva il mondo. Non vedeva altro al di fuori delle proprie miserie. Lavorava come fosse legato a un giogo e non si accorgeva di altro. Finché una notte in cui non riusciva a prendere sonno sentì un treno passare in lontananza. Un treno che andava verso qualche parte del mondo là fuori. Anche quando gli affanni sembrano binari da cui non si può scappare, c’è sempre un treno che corre da qualche parte, verso un angolo di mondo che ancora non si conosce, verso una possibilità che non si è presa in considerazione. E basta una notte insonne e un fischio lontano, per ricordarci che non esiste prigione più straziante di quella che ci costruiamo quando facciamo dei nostri problemi il fulcro dell’universo.

“Ora, nel medesimo attimo ch’egli qua soffriva, c’erano le montagne solitarie nervose che levavano al cielo notturno le azzurre fronti… Sì, sì, le vedeva, le vedeva, le vedeva così… C’erano gli oceani… Le foreste… E, dunque, lui – ora che il mondo gli era entrato nello spirito – poteva in qualche modo consolarsi! Sì, levandosi ogni tanto dal suo tormento, per prendere con l’Immaginazione una boccata d’aria nel mondo. Gli bastava” (in “Il treno ha fischiato”). E se siete tra quelli che credono che la felicità non esiste, almeno siate contenti di voi stessi, perché “Sapete cosa significa amare l’umanità? Significa soltanto questo: essere contento di noi stessi. Quando uno è contento di se stesso, ama l’umanità” (dall’opera teatrale “Ciascuno a suo modo”, Luigi Pirandello).

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