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Matteo Semprini ha in testa una Vedetta

da Redazione

Laureato a San Marino, col suo casco ha vinto un premio all’ADI. “E’ un sistema che rivela se dopo un incidente c’è un trauma cranico”.

Matteo Semprini

 

di Alessandro Carli

 

Gli studenti del Corso di Laurea Triennale in Design dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino si sono aggiudicati tre dei 12 riconoscimenti previsti nella ‘sezione giovani’ del Compasso d’Oro. Dopo aver conosciuto e presentato il progetto sulla macchina fotografica compatta di Mattia Tonucci (Fixing nr. 25) e il progetto “Liska” di Stefania Borasca (Fixing nr. 27) spazio al secondo menzionato, il 24enne di Viserba di Rimini Matteo Semprini che, dopo la laurea triennale sul Titano, a breve discuterà la “specialistica” al Politecnico di Milano. Anche per lui, una “targa giovani”, equiparata alla “menzione d’onore” della sezione professionisti del “Compasso d’Oro”.

Il progetto di Matteo Semprini si chiama “Vedetta” e riguarda un sistema, da applicare sul casco dei motociclisti, in grado di segnalare in maniera semplice e diretta se, dopo un impatto, si può essere in presenza di un possibile trauma cranico lieve.

“Dopo una caduta, per esempio – racconta -, chi conduceva il mezzo può capire se è il caso di recarsi in ospedale verificando un foro posizionato sopra il casco: se il colore è rosso, le ferite del motociclista potrebbero essere serie. Lo strumento, inoltre, segnala se è il caso di sostituire il casco”.

Matteo ripercorre le tappe che lo hanno portato a pensare “Vedetta”.

“L’idea – racconta – è partita di un’esperienza precedente che avevo fatto assieme a un professore che lavora sulle protezioni. Mi aveva colpito un fatto: durante i test di omologazione dei caschi per le moto, che avvengono in laboratorio, la velocità di impatto è piuttosto bassa, attorno ai 30 chilometri orari. Una velocità poco realistica”, anche viste le attuali prestazioni di scooter e moto, e anche quella mania di dare gas.

“I caschi – prosegue il dottor Semprini – lavorano sulla riduzione della velocità progressiva su un elemento fermo”.

Appassionato di moto (“Ma non ne ho una mia” confida), ma anche e soprattutto di sicurezza. “Se non è possibile rendere i caschi più sicuri, perché non sensibilizzare le persone su un corretto utilizzo della protezione? Così mi sono concentrato su diversi tipologie di sensibilizzazione”.

E “Vedetta” è la sua proposta. Se il casco subisce un impatto, i dispositivi si accendono. “Ho utilizzato una serie di sensori analogici, quindi senza batteria né energia elettrica. Ho evitato i dispositivi elettronici perché può accadere che non funzionino. Avevo inoltre bisogno di qualcosa che non fosse riutilizzabile”.

Un sensore dalle dimensioni ridotte, che già viene impiegato in altri campi. “Nella logistica per esempio – spiega il dottor Semprini -. Si tratta, in estrema sintesi, di un dispositivo che viene utilizzato per la spedizione dei pacchi e dei colli e che è in grado di ‘avvertire’ se c’è stato un impatto”.

Ma torniamo a “Vedetta”. Matteo ha analizzato alcuni dati. “I traumi cranici lievi sono patologie insidiose, che spesso possono venire sottovalutati ma che nel tempo si possono aggravare. Il dispositivo permette ai soccorritori o ai professionisti del pronto soccorso di sapere cos’è accaduto”. Semprini si ferma un attimo, poi fa un’importante puntualizzazione: “Non è pensato per sostituire il personale medico, ma solamente per dare informazioni immediate sull’urto”. Un quid davvero fondamentale, che spesso permette di salvare la vita di una persona.

Già, ma dove viene collocato? Sopra il casco? Semprini chiarisce subito: “Viene posto dentro al casco, più o meno tra l’involucro rigido esterno e la parte interna in polistirolo. Funziona in modo meccanico: dopo l’impatto, la membrana si rompe e fa fuoriuscire un liquido rosso. La calotta esterna è interrotta da un piccolo foro, più o meno grande come una presa d’aria”.

Altra attenzione, la modulabilità. “Vedetta” difatti, a seconda del soggetto (uomo o bambino), può essere settato. “La calotta cranica di un bambino – chiarisce – è più piccola, meno robusta di quella di una persona adulta. Un impatto quasi innocuo per un uomo, per un bambino potrebbe arrecare danni anche molto seri”.

Allo stato attuale, il progetto è ancora in una forma di concept. “Ha suscitato qualche interesse: sono stato contattato da un’azienda, ma poi non se n’è fatto nulla”.

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