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La guerra dell’ingegner Fabrizio Gifuni, tra l’Amleto e Gadda

da Redazione

Fixing ha intervistato l’attore Fabrizio Gifuni. Tra l’Amleto di Shakespeare e i personaggi di Carlo Emilio Gadda. “La resurrezione? E’ un atto sociale della conoscenza che rende adulti”.

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di Alessandro Carli

 

Fabrizio Gifuni. Ieri piccolo principe, oggi corpo e voce (ancora voce) de “L’ingegner Gadda va alla guerra (o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro)”, lo spettacolo che ha illuminato, per la regia di Giuseppe Bertolucci – il buio scenico del teatro Bonci di Cesena. Quello che si sa, è che la pièce è un viaggio che va dai diari di guerra di Carlo Emilio Gadda all’Amleto: un viaggio testimonianza nella tragedia della lucidità nel mondo capovolto. Una sorta di “pastiche al quadrato”, nel senso che il testo finale è il risultato di una sapiente opera di composizione, principalmente basata su alcuni riferimenti ad Amleto, sul diario di guerra dell’autore e sull’istrionico pamphlet Eros e Priapo.

 

 

La grandezza della letteratura, spesso, si compie nella contaminatio: leggo un testo che rompe le righe e mi porta fuori, in altri spazi. Questo Gadda è un Amleto. Qual è il filo che unisce l’Italia alla Danimarca?

 

“Amleto, per Gadda, è qualcosa in più di una semplice passione letteraria: per tutta la vita legge il testo di Shakespeare. E’ come se Gadda, nel principe di Danimarca, avesse trovati una serie di tratti, di somiglianza con la figura del Bardo. Per molti elementi che li avvicinano, Gadda si identifica in Amleto: entrambi hanno lo stesso carattere nevrotico e malinconico, hanno uno spessore intellettuale, vivono un rapporto malato con le rispettive madri. Madri che vengono messe al centro di una ragnatela di bugie. Infine, il vero motore: tanto Amleto quanto Gadda, per resistere a un dolore, sono costretti a simulare una forma di pazzia. Gadda, quando risale dal pozzo buio, decide di scatenare – nel senso di togliere le catene – la sua lingua. Una lingua fantasmagorica, unica al mondo. una lingua che non era mai apparsa sul territorio italiano”.

 

Una lingua che nasce dalle macerie. Si redime, Gadda, seguendo l’esempio dell’Enrico IV di Pirandello?

 

“Una lingua figlia di una ferita. Per Gadda però esiste una forma di redenzione. Credo che l’approdo, rispetto al re pirandelliano, sia diverso. Per Gadda la redenzione passa per Eros e Priapo. Gadda lega questa parola – resurrezione – all’atto sociale della conoscenza. Un atto cognitivo che ci rende adulti. Pensata sul Ventennio fascista, questa comporta un’assunzione di responsabilità, un principio di cittadinanza. L’Italia, per troppo tempo, ha delegato ad altri questa responsabilità. Non è mai colpa nostra”.

 

A settembre è venuto al Premio Riccione per il teatro e ha letto, accompagnato, “Il piccolo Principe”.

 

“L’esperienza del ‘Piccolo Principe’ è nata da una felice lettura scenica eseguita assieme a Sonia Bergamasco. A Riccione abbiamo proposto un adattamento costruito sulle aggiunte che un Pier Vittorio Tondelli ventenne aveva appuntato. Per me ‘Il piccolo Principe’ è un oggetto misterioso, un codice cifrato, e possiede, in nuce, una grande varietà di livelli di lettura. Mi dà una carica magnetica, anche se devo ammettere che non sono stato ‘folgorato’ subito. Alla prima lettura non avevo sentito l’effetto dirompente. Lavorandoci, è uscito il fascino del suo essere oggetto decisamente esoterico”.

 

Dove sta andando la nuova drammaturgia?

 

“La drammaturgia, per me, è diventata importantissima. Da circa 10 anni lavoro su progetti che nascono dalle mie idee, dalla mia urgenza di fare teatro. Il contenuto è fondamentale”.

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