Home FixingFixing La Cina: motore immobile che trascinerà  la recessione

La Cina: motore immobile che trascinerà  la recessione

da Redazione

Nel 2009-2010 le Borse europee, nel loro insieme, si sono riprese. La Borsa di Shanghai no. Mentre l’economia cinese continuava a crescere ai soliti ritmi del 10 per cento all’anno, la Borsa ansimava. Un buon momento per investire, dunque? No, per niente. In Cina non è un buon momento per investire, e in nessun campo la cosa è più evidente che nel comparto immobiliare. Gli osservatori più pensosi ormai si aspettano che proprio lì sia destinato a partire il prossimo giro di valzer della recessione mondiale.

Di Paolo Brera

 

La sequenza dovrebbe essere questa. Capitolo primo, l’immobiliare americano. Capitolo secondo, il settore finanziario mondiale, con l’era dei crac e delle sovvenzioni inaugurata da Lehman Brothers. Terzo, il debito sovrano, pia friki, come direbbero in Grecia all’insegna di Babelfish. Next please. Quali bolle bolline bollacce rimangono da pungere e far pluffare, nell’economia? Gli immobili cinesi. Già, perché quando un’economia si muove a razzo verso l’alto, si muovono per solito anche gli immobili, di solito nella medesima direzione, dalle fondamenta al tetto. Sotto c’è il trend della domanda, naturalmente. La marcia radiosa del capitalismo cinese sotto l’illuminata (?) guida del Partito comunista fedele a Marx, Lenin, Mao e Mei Yuan produce enormi utili, arricchisce smodatamente alcuni ricchi imprenditori, fa prosperare i ceti medi e migliora le condizioni di vita degli operai. Alla base della piramide sociale ci sono e restano i contadini poveri che continuano ad essere poveri e a vivere come un secolo fa. Gli altri, che fra l’altro sono parechio mobili sul piano geografico, hanno prima di tutto una ambizione. Abitare. La casa la vogliono gli operai inurbati (ogni due anni l’equivalente dell’intera popolazione della penisola italiana, San Marino inclusa), i nuovi ceti medi che amano la privacy e magari vogliono quattro muri aggiuntivi per farsi il weekend grazie alla loro auto (la Cina è ormai il primo mercato mondiale per gli autoveicoli). Le regge principesche dei milionari, i centri commerciali e i grattacieli avveniristici dei nuovi centri produttivi, le fabbriche da cui esce il 40% della produzione industriale del pianeta sono, anche loro, roba che si deve tirar su dalla superficie edificabile a suon di cemento putrelle e mattoni. Sebbene i cinesi a differenza degli americani risparmino molto e dunque non debbano necessariamente indebitarsi fino alle gengive per costruirsi la casa, il boom degli investimenti in costruzioni ha fatto salire i prezzi. Dal 2005 ad oggi il prezzo per metro quadro delle abitazioni pechinesi è cresciuto del 60%. Negli ultimi due anni, i prezzi delle case crescono al ritmo dell’11-12% all’anno. In media un metro quadro coperto da un tetto arriva a costare quasi 650 dollari, in un Paese dove quella cifra è un multiplo del salario medio di un operaio. Qualche giorno fa Li Daokui, professore alla Zinghua University e membro del Comitato di politica monetaria della Zhōngguó Rénmín Yínháng, cioè la Banca centrale della Cina, se n’è venuto fuori a dire che il mercato immobiliare cinese presenta problemi più acuti di quello dello stesso settore negli Stati Uniti prima della crisi finanziaria. L’aveva già detto Kenneth Rogoff, ex capo economista del Fmi oggi parcheggiato ad Harvard. «Si comincia a vedere un collasso dell’immobiliare e questo colpirà il sistema bancario», così Rogoff fra gli «Uh! Oh!» della giornalista di Bloomberg Television che non le pareva vero di avere fra le mani un notizia-bomba. Per gli osservatori più avvisati, la notizia non c’era. Ogni periodo di crescita molto rapida produce una bolla immobiliare, witness il Giappone degli anni Ottanta, quando il valore nozionale del terreno del Palazzo Imperiale nel centro di Tokyo aveva superato quello dell’intera California con Disneyland e tutto. Della Cina si sapeva. L’incognita era, ed è, come se ne esce. In Giappone, ci sono stati quasi vent’anni di stagnazione. In Cina forse non sarà così dura, perché il governo ha incominciato ad agire con una serie di misure di freno, come le tasse e il rialzo dell’anticipo minimo richiesto quando si compra una casa. In ogni caso, quello di Li Daokui è il primo riconoscimento da parte di una personalità di alto livello che la bolla speculativa cresciuta negli ultimi anni potrebbe esplodere. Xu Shaoshi, ministro della terra e delle risorse, ha detto che i prezzi cominceranno a scendere nel giro di pochi mesi. Ma non è una frenata indolore. In Cina la terra è proprietà dello Stato, che la concede in lunghi affitti (più o meno come accade in Gran Bretagna, dove dai tempi di Guglielmo il Conquistatore la terra appartiene quasi tutta alla Corona ma ci sono lease della durata di alcuni secoli). Il governo locale amministra questi affitti e ci guadagna sopra un sacco di giovanni, che come ognun sa è l’unità monetaria cinese il cui nome è dall’idioma mandarino storpiato in yuan. Dice: ridi e scherzi, ma intanto il problema della bolla immobiliare cinese è un vero problema, che potrebbe avere effetti devastanti per l’economia mondiale. Ebbene sì.

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