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San Marino, Sergio Zavoli: la Repubblica è qualcosa di “non visto altrove”

da Redazione

L’orazione ufficiale per i Reggenti tenuta nel lontano 1978. Tra Benjamin, Garosci e la solidarietà durante la Seconda Guerra Mondiale.

 

Il giornalista, scrittore e politico italiano Sergio Zavoli, nel suo discorso pronunciato nell’Aula del Pubblico Palazzo per l’ingresso degli Eccellentissimi Capitani Reggenti Ermenegildo Gasperoni, Adriano Reffi il 1 ottobre 1978, parlò dell’importanza del ruolo della Repubblica di San Marino durante la Seconda Guerra Mondiale.

 

“Ricordo il costo di quella scelta, il 26 giugno 1944, quando un grappolo di bombe lasciate cadere sul Titano dagli Alleati volle cogliere, persino qui, la sua razione di morte. Quei luoghi di carità e di libero asilo, in quattro ondate di 3 bimotori per volta, furono violati assieme a uno Stato sovrano tenutosi fuori dalla guerra. Si contarono 68 morti e 98 feriti. Per riparare a quell’ingiuria, San Marino riceverà dagli inglesi 80.000 sterline, 20 anni dopo. Poi i 100.000 rifugiati – quando l’Italia seppe riconquistarsi libertà, indipendenza e giustizia – tornarono a riprendersi, in un mare di polvere, le case mozze di Rimini e dei paesi limitrofi”.

C’è l’ambizione che l’uomo e il popolo, tutti gli uomini e tutti i popoli, inseguono con costanza e nella quale uniscono fede e ragione: è l’ambizione di dare di sé un’immagine di coerente esemplarità. Nel vostro Palazzo, e di fronte alla vostra gente, è difficile per chi vi parla non cogliere un doppio giudizio: quello di istituzioni millenarie che nella loro severità sembrano aver trovato una miracolosa sintonia con ciascuno dei momenti storici coi quali si sono confrontate, .sino al nostro, e quello di cittadini che con il loro lavoro, i loro ideali di libertà e di indipendenza, la loro scelta di non estraniarsi mai dalle vicende complessive della storia, hanno acquisito e tuttora rivendicano il loro diritto ad essere protagonisti delle loro istituzioni.

Da questo stesso rostro, un altro oratore ufficiale, Carlo Bo, richiamava il dovere di “non trascurare quella che è la parte dei compiti di fronte a quello che è il capitale delle memorie”. Quando le memorie costituiscono un riferimento sociale e un patrimonio morale per le azioni di domani, è segno che il filo positivo dello sviluppo è saldo, che gli ideali sono stati legittimati dai fatti: la storia, dopotutto, accoglie e fa durare ciò che si disegna e non ciò che si cancella.

Questa continuità creativa tra passato e presente è – purtroppo per gli altri – un dato che la Repubblica di San Marino non divide con molte realtà del mondo contemporaneo. Ed è anche il contorno più netto dell’immagine di questa terra e di questo Stato, visti da fuori.

Un osservatore intransigente delle società di questo secolo, Walter Benjamin, ci ha insegnato che per comprendere le nostre città è necessario intraprendere un viaggio nello spazio, più che nel tempo. È capitato a me di raccogliere testimonianze della nostra epoca nei luoghi più lontani e più diversi: dove si muore ancora di fame e si è alienati dall’opulenza, dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, dove si misura il tempo ancora “da sole a sole” e dove si progettano le “fabbriche del pensiero”.

A contatto con queste contraddizioni di un tempo affascinante, ma ancora tutto irrisolto e carico di prospettive inquietanti, la Repubblica di San Marino ha il privilegio di dare un’immagine di non visto altrove. C’è quasi il rischio, per chi vi guardi da fuori, di credervi non del tutto consapevoli del valore storico della vostra identità giusta è libera e pacifica: un rischio che deriva dalla vostra discrezione, dal vostro trovare regola quel che altrove è eccezione, dal passo del vostro quotidiano, che giustamente attende di essere segnalato dalla cronaca e non ritiene di doversi imporre, perché del resto ha sempre, dietro, l’avallo della vostra storia.

Se fosse chiesto a me di verificare questa immagine di San Marino, per quel qualcosa di “non visto altrove”, sceglierei un segnale che viene dalle vostre leggi: il privilegio che il vostro ordinamento conserva al diritto pubblico sul diritto penale.

È la conferma che voi ritenete la Repubblica davvero un “bene comune”, che come tale va protetto prima e più di ogni altra cosa. E questa conferma della forza dello Stato, proprio attraverso le sue leggi, rende limpida anche la forza della vostra società Un grande giurista italiano, Adolfo Battaglia, ha scritto che “il livello di civiltà di un paese si misura sulle sue sentenze, più che sulle sue leggi”. La vostra, dunque, è garantita due volte.

Una Repubblica che salvaguarda se stessa soprattutto con gli strumenti legislativi del diritto pubblico è una Repubblica che ha scelto di salvaguardare anche i cittadini, difendendo contestualmente e rigorosamente se stessa.

L’antichità dei vostri ordinamenti giuridici dà un’immagine moderna della vostra società. Norme che riescono a sopravvivere per secoli senza perdere in nulla la loro efficacia reale, e non solo giuridica, esprimono quella mediazione tra “senso comune” e legge che è la prova della democraticità di un complesso di istituzioni.

Ospite ancora una volta della vostra Repubblica, con l’opportunità di cogliere nell’insediamento dei nuovi Capitani Reggenti un momento centrale, seppure ricorrente, della vostra storia, sento che questa dignità orgogliosa del “senso dello Stato” si autentica nei rapporti umani che la vita di volta in volta propone, dipanandosi con tanta immediatezza da farlo sembrare sempre nuovo; mentre, in realtà, si è costituito lungo i secoli della vostra vicenda.

Fra tutti i frammenti di tale vicenda sento l’obbligo di ricordarne uno, col quale San Marino ha davvero annullato ogni suo privilegio e diritto sapendo praticare una non dimenticata unità ideale con un popolo geograficamente contiguo e tuttavia “istituzionalmente estero”.

E ricordo il costo di quella scelta, il 26 giugno 1944, quando un grappolo di bombe lasciate cadere sul Titano dagli Alleati volle cogliere, persino qui, la sua razione di morte. Qualcuno avrebbe detto agli Alleati che le gallerie (in realtà colme di scampati alla morte che si abbatteva sul territorio italiano) erano pericolosi arsenali di armi tedesche. Il vostro consapevole gesto di solidarietà venne punito in un tempo di dolore e di violenza.

Quei luoghi di carità e di libero asilo, in quattro ondate di 3 bimotori per volta, furono violati assieme a uno Stato sovrano tenutosi fuori dalla guerra. Si contarono 68 morti e 98 feriti. Per riparare a quell’ingiuria, San Marino riceverà dagli inglesi 80.000 sterline, 20 anni dopo. Poi i 100.000 rifugiati – quando l’Italia seppe riconquistarsi libertà, indipendenza e giustizia – tornarono a riprendersi, in un mare di polvere, le case mozze di Rimini e dei paesi limitrofi.

E solo col cuore fu ringraziato questo scoglio che pure noi riminesi continuavamo a vedere, tutti i giorni, solo girando lo sguardo. Consentitemi di ricordare quanto vi diceva Aldo Garosci qualche anno fa, tra queste stesse mura: “Proprio quell’asilo generosamente accordato ai raminghi delle terre vicine fu occasione delle distruzioni e delle dolorose perdite umane che la Repubblica ebbe a subire, quasi dimostrazione del fatto che la sua neutralità umanitaria non la sottraeva alla vicenda della storia, ma solo alla partecipazione attiva alla strage”.

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