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Rappresentatività, l’Italia ora si allinea a San Marino

da Redazione

“Lotta ai contratti pirata”. Soglia minima del 5% per sedersi al tavolo della trattativa. Accordo tra Confindustria, Cgil, Cisl, Uil e Inps. Il Ministro Catalfo: “L’obiettivo è una legge”.

Cigil-Cisl-Uil-Confindustria

 

di Daniele Bartolucci

 

Con la convenzione per la misurazione e la certificazione della rappresentanza sindacale firmata da Confindustria, Cgil, Cisl, Uil, Inps e Ispettorato del Lavoro, l’Italia “si allinea” a San Marino per quanto riguarda le relazioni industriali e la contrattazione collettiva. Ed è un’ulteriore conferma, dopo il placet dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, come la svolta avvenuta sul Titano con la Legge 9 Maggio 2016 n.59, sia stata importante e nella direzione di una maggiore chiarezza per tutte le imprese e di garanzia per i lavoratori, siano essi occupati in piccole o in grandi realtà dei vari settori. Anche per questo le parti sociali sammarinesi avevano sollecitato la politica a formalizzare il rinnovo delle nomine del Comitato Garante (scadute in queste settimane) in Consiglio Grande e Generale, cosa che non è avvenuta, rimandando di fatto tutto a dopo le elezioni.

 

LA PERCENTUALE MINIMA DI RAPPRESENTANZA

 

La convenzione firmata dalle parti sociali italiane serve infatti a sapere con certezza quali sono le sigle dei lavoratori che hanno un “peso” reale nelle aziende e quindi ragione di sedersi ai tavoli sui contratti. L’accordo prevede che l’Inps (a San Marino i dati li detiene l’ISS e i “conteggi” li elabora il Comitato Garante, ndr) abbia il compito di “pesare” i sindacati attivi nel settore privato, attraverso la valutazione di un mix tra iscritti e voti nelle elezioni delle Rsu, sulla falsariga di quanto già accade per il pubblico impiego. In pratica, le parti hanno concordato di concedere l’accesso al tavolo della trattativa solo chi superi la soglia di una forza minima del 5%. Perché il contratto sia firmato, serve invece una maggioranza semplice: verranno cioè ritenuti validi soltanto i contratti siglati dai sindacati che hanno il consenso del 50% più un lavoratore.

Il vantaggio pratico più tangibile dovrebbe esser lo snellimento delle procedure istruttorie dei tavoli negoziali, che spesso si impantanano – ancor prima di andare nel concreto delle misure da discutere – su chi debba o meno partecipare.

 

I “PIRATI” IN ITALIA, I “DOPPI” A SAN MARINO

 

Le distorsioni e i rischi derivanti dalla mancanza di una soglia minima di rappresentatività sono – o per meglio dire, erano – presenti in entrambi i Paesi. A San Marino, infatti, si poteva verificare il caso di due contratti per lo stesso settore economico (è accaduto per l’Industria e per l’Artigianato) anche se uno dei due aveva pochissimi rappresentanti del settore (imprese o dipendenti) in oggetto, o comunque meno dell’altro contratto. L’art. 9 della Legge 17 febbraio 1961 numero 7 regolamentava infatti così l’efficacia erga omnes: “Il contratto collettivo di lavoro stipulato tra uno dei Sindacati ed un altro antitetico ha efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali esso si riferisce. Nel caso in cui si verificasse il concorso di più contratti saranno applicate le clausole più favorevoli ai prestatori di lavoro”. La conseguenza era che, per effetto dell’erga omnes, al lavoratore dovevano essere garantiti i punti contrattuali di maggior favore, andando a inficiare l’equilibrio di uno o dell’altro contratto. In Italia, invece, il fenomeno più evidente e controverso è quello del cosiddetto dumping salariale, ovvero la registrazione di “contratti pirata” da parte di organizzazioni poco rappresentative al solo fine di minimizzare il costo del lavoro. Mentre per San Marino la nuova normativa esclude di fatto il rischio precedente – può ora esistere uno e uno solo contratto di settore con efficacia erga omnes – in Italia la nuova convenzione non è chiaro se eviterà i “contratti pirata”, visto che essa è circoscritta nell’ambito dei rapporti confindustriali, ovvero per una settantina di contratti sui quasi 900 censiti al Cnel. Una situazione che lo stesso presidente dell’Inps Pasquale Tridico, ha evidenziato nel momento della firma della convenzione: “E’ un’occasione unica per aprire una nuova stagione di lotta ai contratti pirata e in funzione antidumping perché la concorrenza non si fa sui lavoratori ma sul mercato, con l’innovazione ed i processi”. “Il Cnel”, ha ricordato, “ha stimato che su circa 885 contratti circa i due terzi, circa 600, sono ‘pirata’ cioè non firmati da sindacati rappresentativi. Ed è per questo che i salari sono ad un livello non da Paese avanzato”.

La strada però è tracciata e l’intenzione dei sindacati soprattutto è quella di arrivare a una legge vera e propria per combattere i “pirati” della contrattazione che stanno fuori dal “gruppo”. In tal senso va il commento anche della neo ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo: “Con la firma della convenzione sulla rappresentanza sindacale sono certa che inizi un nuovo percorso nella storia delle relazioni industriali. Percorso che ha tra i suoi punti di arrivo l’emanazione di una legge sulla rappresentanza, attuando la seconda parte dell’articolo 39 della Costituzione”, ovvero sull’efficacia erga omes dei contratti. Inoltre, “con la firma è possibile completare il rinnovamento del sistema dando immediato effetto a quanto previsto, fra l’altro, dall’art. 3 del disegno di legge sull’istituzione del salario minimo. Tale disposizione prevede che, nei settori in cui vi è una pluralità di contratti collettivi nazionali applicabili, quello stipulato dalle organizzazioni sindacali e datoriali “comparativamente più rappresentative” sia il contratto ‘leader’ ai fini della determinazione del salario”. “Dobbiamo fare in modo che in un Paese come l’Italia, nel 2019, non vi siano più cittadini che, pur avendo un lavoro, siano costretti a vivere con salari sotto la soglia di povertà non in linea con il dettato costituzionale che all’art. 36 sancisce che ‘il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa'”.

 

LA SITUAZIONE DEL BELPAESE


Parlare di “caos” riferendosi ai contratti di lavoro in Italia non è esagerato: ad oggi ce ne sarebbero attivi ben 885, ma meno di un quarto riguarda più di 10 mila lavoratori. Secondo l’ultimo rapporto del CNEL, che tiene l’archivio dei testi depositati in forza della prescrizione di legge risalente al 1986, gli ultimi ad entrare nell’elenco sono stati i “Letturisti di acqua, gas ed energia elettrica” a braccetto con i “codisti”, ovvero coloro che fanno code per conto di altri (il cui contratto risale a dire il vero al 2014). Nel novero si trovano anche i “barcaioli”.

Ma quanto sono rappresentativi, questi contratti? I funzionari del CNEL ricordano che, fino agli anni immediatamente antecedenti la crisi economica, i contratti erano un paio di centinaia; poi c’è stato il boom di organizzazioni datoriali e sindacali e il proliferare degli accordi. Con l’annesso problema della contrattazione-pirata, quella sottoscritta solo per sfuggire ai minimi tabellari riconosciuti dalle maggiori organizzazioni o ottenere altri vantaggi particolari.

Degli oltre 800 contratti censiti, si scopre che praticamente solo un terzo (poco meno di 300) è noto all’Inps. Ovvero, esistono solo circa trecento contratti con un codice riconosciuto dall’Istituto della previdenza, perché il datore di lavoro lo comunica quando si tratta di avviare o confermare un rapporto. Nel resto dei casi, utilizza la generica indicazione “CD” che sta per “contratto diverso”. In buona sostanza 500 contratti non possono avere rappresentatività reale, se sono ignoti allo stesso INPS.

Ma non finisce qui: infatti, trai circa 300 contratti rimasti, il database del CNEL permette di stimare che ce ne sono più della metà che coprono meno di 10 mila lavoratori ciascuno. Il contratto più diffuso risulta essere quello del terziario della distribuzione e dei servizi, con quasi 2 milioni e mezzo di lavoratori. Ma sono molti i contratti con zero o poche decine di lavoratori coperti. In ogni caso, “la nuova banca dati congiunta di CNEL e INPS”, suggeriscono proprio gli esperti del CNEL, “dà indicazioni sulla diffusione dei singoli contratti, ma non può essere l’unico indicatore per valutare la rappresentatività delle parti sindacali e datoriali firmatarie”. In molti casi, però, sorge un dubbio legittimo sulla portata “nazionale” di quei testi, alla luce delle pochissime persone che si contano tra gli iscritti o i coperti.

Il report, aggiunge il CNEL, resta comunque “l’unico documento disponibile che fornisce un quadro esaustivo della contrattazione nazionale vigente depositata e consente di individuare i CCNL che risultano in attesa di rinnovo, che, purtroppo, rappresentano ancora una percentuale elevata”. Degli 885 CCNL vigenti, infatti, a giugno 2019 ne risultano scaduti 504 (il 56,9%) e con scadenza successiva al 30/6/2019 i restanti 381 (il 43,1%). L’archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro, ricorda il presidente, Tiziano Treu, “è lo strumento fondamentale per contrastare il fenomeno dei contratti pirata. Prosegue il nostro lavoro di monitoraggio, mappatura e misurazione che sarà affinato e migliorato per analizzare anche la ‘qualità’ e quindi i contenuti dei contratti”. Uno strumento (e soprattutto dei numeri) che darà da lavorare parecchio al nuovo Ministro del Lavoro, ma anche alle parti sociali. Finalmente impegnati – tutti a quanto apre – a regolare questo “caos”.

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