Le foto di Fiorani nel primo volume della collana “Contemporary”. Il curatore Gabriele Geminiani: “Le persone spesso perdono il senso del cambiamento”.
di Alessandro Carli
Parte della fascinazione propria delle fotografie in bianco e nero rientra nella discrasia cromatica rispetto al reale: il mondo è a colori e gli occhi di chi guarda (o osserva, ma non sempre) sono assuefatti da viraggi, sfumature, deragliamenti cromatici, azzardi spinti verso l’eccesso, toni delicati, quasi pastello. Spesso anche trasparenze. Con i “due colori” (è una provocazione ovviamente: le sfumature del grigio, al netto dei best sellers che portano il suo nome, sono di per sé “altri colori”) l’attenzione è immediata, è non solo per un effetto di romanticismo (sarebbe facile utilizzare la parola “Amarcord”, ma non sarebbe corretta): il bianco e nero di oggi non è quello di ieri. Non è, per semplificare il tutto, quello di Cartier-Bresson: nuove tecnologie, nuova post-produzione, anche se, va detto, nell’approccio all’immagine ci devono essere alcuni punti di contatto. E non necessariamente quello di allineare obiettivo, occhio e mente. Dal bianco e nero parte il primo volume della collana “Contemporary San Marino – per un’identità visiva del territorio” (ed. Seven Seas), un progetto “nell’immagine” e “sull’immagine” curato da Gabriele Geminiani e che si mette in moto proprio in questi giorni con gli scatti di Simone Maria Fiorani. Una “collana aperta” la definisce lo stesso Geminiani, e che “ogni anno si disegnerà attorno ad un fotografo”. Una molteplicità di sguardi e di poetiche – al b/n si alternerà anche il colore – per fissare su carta (grande contrasto e lieve critica al mondo digitale) un racconto del territorio.
Ogni artista cerca un punto di partenza: per i pittori paesaggisti che amano il mare, possono essere le onde o le vele delle barche…
“Il progetto ‘Contemporary’ è un atto d’amore per la Repubblica. Da quando sono a San Marino, ho sempre indagato il rapporto tra fotografia e memoria, un terreno che si apre a molti incontri. In una congiuntura così particolare, ho cercato di creare un momento di riflessione: ho sentito la necessità di fare il punto su una società che cambia molto velocemente. Ogni Paese, ogni comunità, deve fare i conti con la propria identità. Lo deve fare per affrontare la sfide globali”.
Identità che muta. E che viene fermata dalla fotografia.
“Occorre avere tanti sguardi. Chi vive in un territorio, spesso perde il senso del cambiamento in quanto ‘ci è dentro’. Il mutamento, secondo me, dà la misura dell’evoluzione, di quando sta accadendo. Mi spiego: alcune attività tradizionali oggi non esistono più, altre invece stanno nascendo. Questo passaggio ‘entra’ nel libro”.
E con loro, l’architettura.
“Il Titano possiede esempi di architettura industriale. L’indagine di Fiorani la tocca: mi riferisco alla superstrada, la colonna vertebrale del Paese. Ma c’è anche altro. La nebbia, per esempio, e la neve. Così come le persone. Attraverso questo splendido ed eterogeneo materiale fornito da Simone ho costruito una serie di brevi racconti che parlano anche di assenze, di epifanie inaspettate; di quel kitsch entrato oramai nell’immaginario del luogo, che qui sopravvive e che personalmente mi ispira tenerezza”.
A chi si rivolge?
“Questa pubblicazione, e così quelle che seguiranno, vuole essere una preziosa raccolta di dati da consegnare agli studiosi e a ‘futura memoria’, ma anche un prodotto fruibile dal lettore comune. In questo senso l’utilizzo può essere duplice. Il primo riservato agli abitanti e al rapporto di ordinaria quotidianità che hanno con il territorio. Il secondo destinato a coloro che hanno con San Marino una frequentazione o una percezione turistica, costituita su immagini e informazioni provenienti dai media che si mescolano a narrazioni di conoscenti e amici. Ai primi la restituzione di una entità allargata e organica, ma anche dettagli, scorci che la quotidianità ha reso invisibili. Ai secondi l’elargizione di uno sguardo oltre la sottile e artificiosa patina turistica, un’occasione offerta agli occhi del visitatore mordi e fuggi di vedere la normalità del territorio e della sua comunità, assimilabile a quelle limitrofe”.
Oggi si vive nell’ottica del tutto e subito. Un concetto che non si sposa con un certo tipo di fotografia.
“Concepisco l’indagine fotografica e la costruzione di un libro come una seduta di pesca dove l’attesa, questo spazio fintamente morto e ozioso, è in realtà il momento più denso e corroborante, carico di sensazioni, aperto alla riflessione e all’azione. Così le immagini di questo libro sono nate e sedimentate nei tempi lunghi del progetto dove prospettive e sequenze si sovvertivano e i canovacci venivano ridisegnati. Senza alcuna fretta. Ogni volta si ripartiva poco distanti da dove ci si era lasciati, talvolta si andava a ritroso per imboccare una diversa strada”.